Søren Aabye Kierkegaard: tratti biografici

a cura di Nadia Tomasi



"Come mai può venire in mente a qualcuno di fare l'elogio di quest'esistenza dove non c'è che l'alternativa: o di sopprimere in modo abominevole (crimine peggiore di un aborto) ogni aspirazione ideale in grande stile e ogni possibilità d'idealità vera, in ogni modo dimezzarla in maniera rivoltante… per poi gonfiarsi e rimpinzarsi nella sconcia obesità degli onori e della stima mondani, – oppure , qualora si voglia l'ideale, ci si deve preparare a essere, eo ipso , martiri.

Il Cristianesimo è l'unica spiegazione consistente dell'esistenza (†). L'esistenza terrestre è sofferenza; ogni uomo ha la sua dose e le sue parole in punto di morte perciò saranno: «Sia lodato Iddio che anche questo ora è passato!».

L'esistenza terrestre è tempo di prova, è l'esame. Tutte queste chiacchiere di voler strafare, sono invenzioni dei pastori per spillar denaro: è un genere di serietà che abolisce Iddio […]." [1] .

Agli scritti Kierkegaard affida la testimonianza del significato dell'umana esistenza nella sua inequivocabile alternativa e nell'unica spiegazione pregnante, lasciando intravedere la sua prospettiva sull'ordine stabilito, la mondanità e, in filigrana, la sua stessa vita. Parca di eventi esteriori quanto ricca di ripercussioni interiori, essa, infatti, lo conduce attraverso una fanciullezza austera e una giovinezza burrascosa e dissipata a stringere più intimamente il suo rapporto al cristianesimo [2] tanto da renderlo un penitente [3] , spia della cristianità [4] . I primi Diari kierkegaardiani [5] dal 1834 al 1839 percorrono una linea di ricerca del punto di Archimede dell'anima in balia dei flutti della vita "… da cui poi mi son fatto l'idea dell'amore paterno di Dio, la sola cosa incrollabile della vita, il vero punto di Archimede." [6] dove l'unica posta in gioco è il cristianesimo che egli si consacrerà a chiarire spinto da un'esigenza personale e dalla consapevolezza che era ciò di cui il tempo aveva bisogno.

Dal fumo romantico e idealista in cui fu avvolto nei primi tempi, il suo sguardo si assottiglia, volgendosi decisamente verso l'essenziale. Cadono così molti aspetti esteriori della sua dialettica, ma si intensifica in compenso la dialettica interiore intorno al supremo Aut-Aut: il finito e l'infinito, il temporale e l'eterno.

Saldamente ancorato al messaggio del Nuovo Testamento come all'unica cura radicale, Kierkegaard contesterà allora alla cristianità stabilita gli inganni delle sue false prospettive di benessere terreno che l'hanno riconciliata con il mondo.

La biografia del filosofo danese rifluisce e s'immedesima quasi con il suo pensiero, ma nel modo più impensato e strano: la tenue trama dei fatti singoli si articola progressivamente nella logica dei principi che formano la sua evoluzione spirituale.

Søren Aabye Kierkegaard nacque a Copenaghen il 5 maggio 1813 "… in quello sciagurato anno finanziario che tante banconote ha messe in circolazione. E la mia esistenza potrebbe benissimo paragonarsi a una di esse. …" [7] .

Il padre esercitò sulla vita morale e spirituale di Søren, ultimo di sette figli, un'azione potente e durevole. Kierkegaard nel Diario e nelle sue opere in genere ricorda di continuo la figura tormentata di questo vegliardo, in cui il fervore ardente ed arido del pietismo moravo si associava ad una misteriosa malinconia. Le discussioni religiose sottili sulle quali amava intrattenersi introdussero precocemente Kierkegaard nel campo della teologia e dell'etica e lo iniziarono ai metodi della dialettica, così come lo studio appassionato della grammatica greca e latina lo iniziarono all'indagine filosofica. I metodi educativi paterni ne risvegliarono, in maniera straordinaria, anche l'immaginazione: divenne maestro nell'arte di evocare scene e scenari e imparò nello stesso tempo ad abituarsi alla solitudine e alle meditazioni nella precoce consapevolezza di essere l'"eccezione". Furono ancora quei metodi a formare il giovane al rispetto assoluto del dovere e ad avviarlo ad un cristianesimo duro e cupo, in cui il peccato assumeva un aspetto opprimente e il dovere una forma drammatica. Ecco perché Kierkegaard ha potuto scrivere nel Diario che il padre gli aveva riempito l'anima di angoscia nei confronti del cristianesimo. Egli confessa che fu per questa educazione "troppo ideale" e "troppo severa" [8] che non ebbe mai la gioia di essere bambino e di essere stato infelice fin dalla nascita.

Il padre, trasferendo nel figlio la propria malinconia, gli si era rivelato sotto l'incubo di una disperazione silenziosa [9] : Søren risulterà tormentato dall'ambivalente impressione della vita pia e austera del genitore e del retroscena di cui intravedeva l'orrore a causa di alcune parole sfuggite, senza avere il coraggio di andare più a fondo [10] . Ma quello che nell'infanzia era un vago presentimento di sofferenza, divenne l'orientamento di tutta la vita quando nella prima gioventù accadde il "… gran terremoto. Il terribile sconquasso che d'improvviso m'impose un nuovo principio d'interpretazione infallibile di tutti i fenomeni. …" [11] cioè il sospetto che su suo padre gravasse la maledizione di Dio e per castigo divino la famiglia dovesse scomparire per sempre. In un testo scritto l'11 agosto 1838, a tre giorni dalla sua morte, Kierkegaard ne consacra il ricordo leggendone la scomparsa come l'ultimo sacrificio affinché si potesse fare del figlio ancora qualcosa. La conseguente devozione al padre lo farà reus voti e per questo, come egli dichiara nel 1844, sosterrà l'esame di teologia (nel 1840) che il vecchio aveva tanto desiderato, scriverà la tesi Sul concetto di ironia in riferimento costante a Socrate (1841) e porterà rapidamente a termine Enten-Eller (1843) [12] .

Nel 1830, terminati gli studi secondari, infatti, Kierkegaard si era iscritto all'Università per conseguire il grado di Magister Artium , un cammino che gli sarebbe costato un decennio di crisi e alternative, compresa la delusione del vecchio padre che moriva senza vederlo arrivato alla meta accademica.

L'influenza di Hegel si faceva allora particolarmente sentire ed il razionalismo pareva imporsi come la forma perfetta della speculazione. Kierkegaard non ebbe difficoltà ad entrare nel gioco sottile della dialettica hegeliana. Era ben lungi tuttavia dall'abbandonarsi alla corrente idealista che andava affermandosi dovunque e nei confronti della quale si rafforzava invece la sua opposizione, in nome di un sentimento potente di quella che egli chiamava la realtà esistenziale, dalla quale l'idealismo aveva la pretesa di far astrazione [13] . Kierkegaard non mancò di sottolineare il lato comico del pensatore "oggettivo ed astratto", dell'idealista di tipo hegeliano, e più volte affidò ai suoi scritti allusioni polemiche alla filosofia moderna tacciata di risolversi in uno sterile sistema e di considerarsi superiore alla religione e alla fede. Dopo i primi cenni generici e indiretti il tono diventò, con rapida progressione, deciso: "La filosofia e il Cristianesimo non si lasciano mai conciliare" [14] e si fece chiara la denuncia che accomunava tutti quelli che si rendevano responsabili di diluire i contenuti dogmatici del cristianesimo [15] . Di poco successiva fu una messa a punto più completa e preoccupata delle sorti di quest'ultimo, in un contesto di denuncia di un progresso filosofico oltre Hegel, di un entusiasmo spirituale incontrollato che poteva portare alla bancarotta generale, di una politica che metteva in pratica i principi hegeliani con risultati ridicoli e deleteri: "… Ed ora il Cristianesimo, come non è stato trattato? Io condivido del tutto la sua disapprovazione, che ogni concetto cristiano è stato così volatilizzato, così completamente dissolto in una tale nebbia ch'è impossibile poterlo riconoscere. …" [16] .

Se, soprattutto all'inizio, la conoscenza kierkegaardiana di Hegel fu mediata da interpreti e commentatori, a mano a mano che seguì l'abbondante letteratura della teologia speculativa, egli prese anche conoscenza diretta delle opere del filosofo tedesco maturando sempre più chiaramente l'opposizione a quest'ultimo data la diversa impostazione problematica del suo pensiero. Il profondo interesse per la teologia speculativa spiega una certa dipendenza terminologica e concettuale da Hegel, senza tuttavia alcun motivo di pensare che Kierkegaard sia mai stato hegeliano, o che la sua filosofia si regga o cada con quella di Hegel, o che questa ne sia il motivo ispiratore [17] . Altre motivazioni, allora più urgenti, lo animavano: il problema religioso della salvezza concretizzato nelle figure bibliche di Abramo e Giobbe (attorno alle quali saranno costruiti Timore e tremore e La ripresa ), l'onnipotenza di Dio e la libertà dell'uomo, il peccato e la grazia, la Redenzione, la vita cristiana. I riferimenti ad Hegel erano costanti, ma senza mai proporsi una trattazione sistematica, tanto Kierkegaard era convinto dell'errata premessa antropologica del sistema che approdava quindi ad una teologia illusoria. Totalmente diversi anche l'impostazione, il metodo [18] e lo scopo: erano avulse dall'hegelismo, infatti, la convinzione kierkegaardiana della validità del sistema limitatamente all'ordine logico e non in quello dell'esistenza individuale; l'inconciliabilità tra mediazione filosofica e paradosso della fede; la costante preoccupazione non di sapere che cos'è il cristianesimo, ma di diventare cristiano; la persuasione che "solo la verità che edifica è verità per te", mentre la Storia nulla può aggiungere o togliere all'assoluta preminenza dell'individuo [19] .

Søren sentì presto l'esigenza di salvaguardare una personalità di cui avvertiva l'originalità e la ricchezza; intorno al diciottesimo anno le sue idee sul mondo e sulla vita andavano modificandosi e lo portavano ad allontanarsi dal padre. Ecco perché, indirizzato agli studi teologici che avrebbero dovuto avviarlo al ministero pastorale, non vi si dedicò che distrattamente e saltuariamente in quanto era ancora incerto sulla carriera da intraprendere e tutto teso a "…trovare una verità che sia una verità «per me», di trovare «l'idea per la quale io voglio vivere e morire». …" [20] .

Questi conflitti coincidevano con un crescente distacco dal cristianesimo (come è possibile rilevare da alcuni brani del Diario ), tuttavia cresceva contemporaneamente una concezione che doveva infine imporsi al suo pensiero per diventare il tema centrale della sua opera; il cristianesimo, egli scriveva nello stesso periodo, è "…una cura radicale per la quale ci si schermisce in tutti i modi…" [21] . Si dedicò per qualche tempo alla vita di società, di frivolezze estetiche, di apparente disordine. Eppure, dopo i banchetti durante i quali si imponeva per lo spirito brillante, rincasava disperato nel più profondo dell'anima, come egli narra [22] ricordando questo periodo della giovinezza che definisce "il cammino della perdizione" [23] . Il superamento di questa crisi sembra abbia il suo inizio precisamente con la morte del padre; il suo progresso si alimentò delle esperienze successive e dei risultati avuti "alla scuola della Provvidenza".

Il tormento però della sua pena più intima fu quel "pungolo", quella freccia di dolore confitta nelle sue carni che lo ha segregato fin dalla prima infanzia [24] e il cui segreto egli ha voluto portare con sé nella tomba: "Dopo la mia morte, non si troverà nelle mie carte (e questa è la mia consolazione) una sola spiegazione di ciò che in verità ha riempito la mia vita. Non si troverà nei recessi della mia anima quel testo che spiega tutto e spesso, di ciò che il mondo tiene per bagattelle, fa degli avvenimenti di enorme importanza per me e che anch'io considero futili appena tolgo quella nota segreta che ne è la chiave." [25] . All'infelicità costitutiva del suo essere profondo, alla sua "croce particolare" Kierkegaard accennerà più volte, definendola una "spina nella carne", con l'estrema circospezione che è imposta da ciò che vi è di sacro nell'intimità di una realtà conferita da Dio, o comunque permessa nei suoi disegni [26] . Causa di pene orrende essa gli ha impedito di "diventare come gli altri uomini", ha inibito il suo realizzarsi nell'ideale etico, la conclusione del suo fidanzamento con Regina e perfino il suo accesso senza scrupoli alla carriera pastorale.

Alla sofferenza del pungolo andava congiunta una profonda malinconia che il vecchio padre gli scaricò addosso quando era ancora bambino e che lo spinse a condurre una vita di "puro spirito" aggrappandosi unicamente "all'aspetto intellettuale dell'uomo" [27] .

In questo contesto assunsero il loro significato altri due importanti rapporti che si inserirono nella relazione di cui fu intrisa l'intera sua esistenza: quella con il suo originario padre e autentico maestro, Dio.

Il primo fu quello con Regina Olsen che Søren incontrò nel 1837 e che lasciò dopo poco più di un anno di fidanzamento nel 1841 [28] . Tuttavia per lei, ora trasfigurata nei contorni di un'immagine deliziosa, figura dell'amore consapevole solo di sé, ora rimproverata come emblema della leggerezza femminile, egli continuò a serbare un affetto forse ancora più intenso e ideale dopo la rottura, tanto da indurlo a progettare (negli ultimi anni) una forma di legame spirituale con colei dalla quale non si era mai staccato nel suo intimo. Comunque siano state strane e talvolta contraddittorie le vicende del suo fidanzamento con la giovane –che Kierkegaard non aveva mai seriamente pensato di condurre al matrimonio [29] – è certo che essa ha dato a tutta la sua opera di scrittore il significato di un'offerta: "…La mia esistenza esalterà la sua vita in modo assoluto. La mia carriera di scrittore potrà anche essere considerata come un monumento a sua lode e gloria. Io la prendo con me nella storia. …" [30] . Per Regina egli scrisse quasi tutta la vistosa produzione di Discorsi edificanti che lei lesse con vivo interesse e con la stima che sempre nutrì per lo scrittore. La sua figura traspare anche in Timore e tremore e La ripresa (ambedue del 1843), nonché nel Diario del seduttore e, secondo le sue dimensioni reali-ideali, nell'opera autobiografica degli Stadi sul cammino della vita (1845) [31] . In questo punto il Diario è documento dell'inquietudine di una coscienza che non riusciva a porre alcuna relazione direttamente nella realtà, ma le trasfigurava anzitutto nella trascendenza. Regina non era per lui perché Dio doveva avere la precedenza ed egli non poteva concedersi rapporti finiti al finito. "…È certo, e quanto volentieri non vorrei dirlo, che umanamente parlando essa ha e deve avere l'unica e prima priorità della mia vita; ma in senso assoluto è Dio che ha la prima priorità. Il mio fidanzamento con «lei» e la sua rottura dipendono in fondo dal mio rapporto a Dio; formano, se così posso dire, divinamente il mio fidanzamento con Dio. …" [32] .

Il pensiero di Kierkegaard era dunque ormai centrato sul problema del cristianesimo e si concretizzava nel conclusivo rapporto a Mynster come relazione alla realtà e finitezza nella forma dell'ordine stabilito rappresentato dal capo della Chiesa danese.

Datosi all'attività letteraria per sfuggire al risucchio della malinconia e realizzare la sua missione di poeta del religioso [33] , Kierkegaard inciampò nella gazzarra di scherni del "Corsaren" ("Corsaro"), il giornale umoristico diretto da M.A. Goldschmidt, ma che aveva la sua anima nell'esteta amorale P.L. Møller. Per un anno intero Søren, che con la pubblicazione delle opere estetiche aveva raggiunto l'apice della celebrità, divenne bersaglio di articoli e caricature che fecero colpo sul pubblico e strapparono alla vittima una sdegnosa condanna dell'abiezione della stampa e amare considerazioni sull'uomo comune [34] . In pochi mesi il "Corsaren" fu sbaragliato e dovette cessare le pubblicazioni dopo neanche un anno di vita; tuttavia quell'episodio di villania letteraria fece scoprire al filosofo danese le categorie fondamentali dell'esistenza inautentica: il pubblico, la massa, il popolo e l'ordine stabilito come Stato e Chiesa.

In questo frangente conflittuale si evidenziò un ulteriore motivo di inasprimento dei rapporti con il vescovo Mynster che, non soltanto evitò di difenderlo, ma osò mettere sullo stesso piano lui, la "spia della cristianità" che aveva impegnato tutto per smascherare l'equivoco anticristiano della generazione contemporanea, e il suo persecutore Goldschmidt. Già da tempo, comunque, la stima ed ammirazione verso colui che era stato il pastore di suo padre avevano lasciato il posto ad un crescente sospetto, divenuto poi certezza, del tradimento dell'ideale cristiano. Il Diario si costellò allora di attacchi all'ambigua politica religiosa nutrita di compromessi condotta dal capo della Chiesa danese a cui Kierkegaard attribuisce anche la falsificazione del cristianesimo nell'intento di riconciliarlo con il mondo. Ma la forza della comunicazione diretta, gettata allo sbaraglio in una violenta polemica contro la cristianità del proprio tempo, fu raggiunta da Kierkegaard dopo la morte di Mynster (avvenuta il 30 gennaio 1854) quando il suo successore, il teologo hegeliano H. Martensen, nell'elogio funebre osò proclamarlo "testimonio della verità". Attese quasi un anno [35] prima di passare all'attacco aperto che coinvolse non solo il vescovo scomparso, ma l'intera cristianità stabilita. L'accusa che Kierkegaard sferrò nei fascicoli de "Oejeblikket" (dal maggio al settembre del 1855), consumandovi le ultime energie del proprio organismo che infine crollò in un malore che lo condusse alla morte l'11 novembre del medesimo anno, fu l'esplosione di una crisi maturata nei rapporti tra lui e Mynster dopo la pubblicazione di Esercizio del cristianesimo (1850): "…Mynster pensa probabilmente (e questo è di solito la modernità) che il Cristianesimo è cultura. Ma questo concetto di cultura è quanto mai inopportuno e forse perfino diametralmente opposto al Cristianesimo, quando diventa godimento, raffinatezza, pura cultura umana. …" [36] . Negli anni che avevano preceduto la polemica egli aveva precisato con maggior rigore il contrasto netto tra cristianesimo e cristianità stabilita ed ora, consapevole che "Il Cristianesimo qui non esiste più; ma perché si possa parlare di riaverlo bisogna prima spezzare il cuore di un poeta, e questo poeta son io. …" [37] , poteva tradurre in lotta e sofferenza la verità cristiana nel tentativo di reintrodurre il cristianesimo nella cristianità.

Nell'ultimo testo del Diario , scritto il 25 settembre, Kierkegaard lasciava trasparire la fine della lotta e il compiersi della sua missione; in "Oejeblikket" affermava che egli ormai moriva lieto con una gratitudine infinita per la Provvidenza che gli aveva permesso di soffrire per la propagazione dell'idea del cristianesimo come "verità sofferente" [38] . Gli avvenimenti della vita erano stati per lui lezioni in cui la Provvidenza lo veniva educando al distacco dal finito e la loro dimensione empirica era sempre stata dominata da quella interiore: un segreto personale incomunicabile che egli viveva con sé nella sfera dell'eterno, nel suo rapporto con Dio.





N o t e

[1] S.A. KIERKEGAARD, Diario , IX A 358 (1950), p. 68 vol. 5.

[2] Cfr. ivi, II A 232 (317), p. 127 vol. 2.

[3] Cfr. ivi, VIII 1 A 116 (1406), p. 39 vol. 4.

[4] Cfr. ivi, IX A 142 (1828), p. 206 vol. 4; inoltre cfr. ivi, IX A 495 (2043), p. 109 vol. 5; infine cfr. ivi, X 3 A 252 (3062), p. 53 vol. 8.

[5] Il Diario di Kierkegaard occupa quasi cinquemila pagine dei venti volumi in cui è stata raccolta, a Copenaghen, l'edizione postuma delle sue Carte . È un'opera iniziata nel 1834, quando il filosofo danese era poco più che ventenne, e condotta via via con forma ed intensità diverse, fino agli ultimi giorni di settembre del 1855, meno di due mesi prima della sua morte, avvenuta l'11 novembre. C. FABRO ha osservato giustamente che il Diario rivela l'animo di Kierkegaard come nessun altro suo scritto.

(Cfr. C. FABRO, Introduzione al Diario , vol. 1, Brescia 1980, in particolare cap. II, pp. 12-20 e «Prospetto delle Carte di Kierkegaard», pp. 143-153).

[6] KIERKEGAARD, Diario , III A 73 (701), p. 22 vol. 3. Cfr. anche ivi, I A 68 (49), p. 30 vol. 2 e ivi, I A 72 (51), p. 34 vol. 2.

[7] Ivi , V A 3 (987), p. 118 vol. 3.

[8] Cfr. ivi, X 2 A 619 (2918), pp. 161-162 vol. 7.

[9] Cfr. ivi, V A 33 (1010), pp. 125-126 vol. 3. Altra scena autobiografica in S.A. KIERKEGAARD, Colpevole? Non colpevole? , in Stadi sul cammino della vita di S.A. Kierkegaard , a cura di L. KOCH, Milano 1993, pp. 331-332.

[10] Cfr. KIERKEGAARD, Diario , V A 108 (1051), p. 137 vol. 3.

[11] 11 Ivi , II A 805 (651), p. 210 vol. 2.

[12] Cfr. ivi, IV A 70 (868), p. 72 vol. 3.

[13] Nel semestre invernale 1835-1836 Kierkegaard seguì le lezioni di P.M. Møller (1794-1838) sul De anima aristotelico ed apprezzò questo pensatore, poeta e filologo. L'amore per i Greci e Socrate in particolare, unito all'ironia, all'avversione al pensiero sistematico e alla rivendicazione di una interiorità individuale nei confronti dei pastori e della Chiesa di Stato, resero caro a Kierkegaard il suo professore al quale è dedicato affettuosamente Il concetto dell'angoscia e di cui nella Postilla sta scritto: "Quando tutto era hegeliano, lui la pensava in modo completamente diverso".

[14] KIERKEGAARD, Diario , I A 94 (66), p. 48 vol. 2.

[15] Cfr. ivi, I A 273 (158), p. 75 vol. 2.

[16] Ivi , I A 328 (180), pp. 80-81 vol. 2.

[17] Secondo S. SPERA la filosofia kierkegaardiana si concretizza presto, intorno al 1835, quando di Hegel Kierkegaard ha una conoscenza indiretta e generica. (Cfr. S. SPERA, Introduzione a Kierkegaard , Bari 1992 3 , p. 27).

[18] Anche la dialettica kierkegaardiana assume un carattere peculiare: essa fa riferimento ad una potenza, nella quale si fonda in trasparenza, che obbliga l'individuo alla scelta rendendolo consapevole del proprio peccato davanti a Dio; è una dialettica dell'esistenza.

[19] Diverso, seppure accomunato da un conclusivo superamento, il riferimento kierkegaardiano a Socrate, altra figura di primo piano nella formazione del filosofo danese. Se da Hegel ereditò lo strumento della dialettica, da Socrate attinse quello dell'ironia e della maieutica. La filosofia greca rappresentava ai suoi occhi l'approdo sicuro del realismo contro ogni panlogismo e Socrate il vertice della saggezza, prima e fuori del cristianesimo. Kierkegaard, tuttavia, criticava il carattere intellettualistico della morale fondata da Socrate e trovava insufficiente la sua teologia naturale. Con le Briciole di filosofia (1844) e la Postilla conclusiva non scientifica alle Briciole di filosofia (1846) infatti, insieme alla riaffermazione del valore della testimonianza socratica, ne definisce anche il ruolo propedeutico rispetto alla verità e alla salvezza del cristianesimo.

[20] KIERKEGAARD, Diario , I A 75 (55), p. 41 vol. 2.

[21] Ivi , I A 99 (71), p. 52 vol. 2.

[22] Cfr. ivi, I A 161 (104), p. 63 vol. 2.

[23] Tutto questo spiega perché i suoi studi procedevano così a rilento. Il padre di Søren assisteva a questa vita sregolata che tanto contrastava con l'esistenza austera dell'ambiente familiare. Nel settembre 1837 giunsero ad una separazione amichevole; il figlio avrebbe percepito una rendita annua di 500 risdalleri, somma che gli avrebbe consentito di vivere per proprio conto e di condurre un'esistenza abbastanza agiata, grazie anche ai proventi di un lavoro redditizio (nell'inverno del 1837-1838, Kierkegaard fu professore di latino al liceo di Copenaghen), in attesa di prendere una decisione circa la propria carriera.

[24] Cfr. ivi, VIII 1 A 185 (1447), pp. 58-59 vol. 4.

[25] Ivi , IV A 85 (879), pp. 76-77 vol. 3.

[26] Concordo con l'affermazione di P. PRINI per cui l'accanimento dei biografi nel tentativo di individuare la natura di questo dolore kierkegaardiano nell'ambito di una patologia fisiologica o psichica non tiene conto del punto più importante della questione. Non era infatti la natura del male che poteva costituire una chiave interpretativa del "segreto" di Kierkegaard, ma piuttosto il suo comportamento religioso di fronte ad esso, la sua interpretazione teologico-esistenziale del proprio destino stigmatizzato da quella dolorosa eccezione. Questa "palla di piombo sulle ali" era segnata per lui da un carattere religioso, il senso le derivava dall'essere una realtà cristiana. La lettura teologica del proprio stato straordinario è stata il tormento di tutta la riflessione autobiografica kierkegaardiana, ma anche la lotta decisiva per la sua conquista della franchezza cristiana.

(Cfr. P. PRINI, Storia dell'esistenzialismo. Da Kierkegaard a oggi , Roma 1989, in particolare cap. I, pp. 37-42). Per un'interpretazione ulteriore del fenomeno della "spina nella carne" rimando a FABRO, Introduzione al Diario , cit., pp. 29-31.

[27] Cfr. KIERKEGAARD, Diario , II A 806 (652), p. 211 vol. 2.

[28] Il 29 settembre 1841, Kierkegaard ottenne il titolo di Magister Artium con la tesi Sul concetto di ironia in riferimento costante a Socrate ; l'11 ottobre ruppe definitivamente il fidanzamento con Regina e pochi giorni dopo partì per Berlino dove frequentò (dal 15 novembre al 4 febbraio 1842) il corso che Schelling teneva all'Università. All'entusiasmo iniziale seguì una terribile noia che lo trattenne dal continuare, come risulta dalle lettere all'amico Boesen e al fratello Pietro.

A proposito di questi scritti che S. SPERA definisce "scritti del periodo berlinese" e, più in generale, circa il rapporto tra Kierkegaard e Schelling si veda S. SPERA, Il pensiero del giovane Kierkegaard , Padova 1977, in particolare cap. II, pp. 49-94.

[29] Cfr. KIERKEGAARD, Diario , III A 161 (772), p. 41 vol. 3 e ivi, III A 166 (777), pp. 42-43 vol. 3.

[30] Ivi , X 5 A 150 (3796), p. 69 vol. 10.

[31] Cfr. in particolare KIERKEGAARD, Colpevole? Non colpevole? , cit.

[32] KIERKEGAARD, Diario , X 5 A 21 (3722), p. 189 vol. 9.

[33] Cfr. ivi, IX A 213 (1868), pp. 24-25 vol. 5.

[34] Per un ampliamento della tematica relativa al rapporto tra Kierkegaard e il giornalismo con particolare riguardo alla vicenda del "Corsaren" rimando a SPERA, Il pensiero , cit., cap. II, pp. 147-175.

[35] Kierkegaard nel primo articolo di protesta contro l'elogio di Martensen a Mynster chiedeva nel titolo: Era il vescovo Mynster un testimonio della verità, uno di quei veri testimoni: è mai vero questo? . L'articolo, scritto nel febbraio 1854, fu pubblicato in "Faedrelandet" soltanto il 18 dicembre. Dopo la replica di Martensen sul "Berlingske Tidende", Kierkegaard contrattaccò nuovamente e quando, alla fine del marzo 1855, si affievolì la polemica diretta sui giornali, Kierkegaard continuò su "Faedrelandet" l'attacco ormai inarrestabile alla cristianità stabilita.

[36] KIERKEGAARD, Diario , X 3 A 588 (3229), p. 132 vol. 8.

[37] Ivi , X 4 A 586 (3655), p. 142 vol. 9.

[38] P. PRINI afferma che, essendosi Kierkegaard proposto di cercare la verità cristiana sperimentandola nella propria esistenza, la filosofia che ne risulta vuole essere una vera e propria teologia sperimentale, e in questo senso è un'autobiografia teologica. Questa interpretazione mi trova concorde. (Cfr. PRINI, Storia dell'esistenzialismo , cit., in particolare cap. I, pp. 20-25).



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