Johann Sebastian Bach, Herzlich thut mich verlangen

Analisi di questo corale nella produzione Sacra

Di Giorgio Ruffa


I. INTRODUZIONE

In questa sede intendiamo analizzare l’uso che Bach fece di questo corale nella sua musica. In pratica sara’ un punto di riferimento dal quale potremo scorgere, con uno sguardo generale, le tematiche fondamentali espresse da Bach nella sua produzione sacra. La scelta non e’ stata, ovviamente, casuale. In primo luogo questo era uno dei corali piu’ amati dal musicista di Eisenach, in secondo luogo i contenuti musicali e testuali rappresentano una piccola summa della spiritualita’ luterana. La fede, il rapporto con Dio, il rapporto tra l’uomo e la morte ed il peccato sono i principali argomenti trattati.

Per prima cosa vediamo di tracciare, brevemente, le origini ed il significato del corale1 nella liturgia protestante. I corali, differentemente dai canti cattolici, non erano scritti in latino, questo per favorire la massima partecipazione dei fedeli. Dal punto di vista musicale questo canto liturgico era inizialmente monofonico, sebbene eseguito da piu’ voci. Esso deriva dalla liturgia “secundum uso romanum” cantato nel modo melodizzante ovvero in Concentus, il contrario dell’Accentus che era il modo declamatorio, vicino al recitativo. Il corale si sviluppo’ in svariate forme: monofonico, polifonico di tipo mottettistico e polifonico di tipo armonizzato. Molti canti in lingua volgare, da quelli dei Minnesänger a quelli penitenziali ed anche quelli militari, divennero, poi, corali. Le origini sono quindi di molto anteriori alla riforma. In forma compiuta troviamo dei Lied a partire dal XI secolo. Il fiorente sviluppo di questi canti religiosi, nel periodo in questione, e’ testimoniato, in modo indiretto, dai vari divieti ecclesiastici emanati dai concili di Basilea (1435) e Eichstatt (1446), dai sinodi di Praga (1406) e Schwerin (1492). Difatti, formalmente, l’unico canto liturgico consentito era quello latino-gregoriano.

Lutero quindi, senza nulla, o quasi, inventare, nell’organizzare la nuova liturgia, poteva basarsi su di una tradizione gia’ consolidata nell’ambiente popolare; era forse la strada piu’ diretta visto, poi, che non era neppure pensabile che il popolo fosse in grado d’intonare il difficile canto gregoriano. Parlare ora delle elaborazioni, da parte di Lutero o della chiesa luterana in generale, di corali e di Gesangbücher ci condurrebbe enormemente fuori strada; altre considerazioni, generali, sull’argomento verranno comunque svolte durante questa trattazione.

II. Herzlich thut mich verlangen

Il nostro punto di riferimento, ovvero il nostro corale, fu scritto da Christoph Knoll nel 1599, mentre la melodia deriva dalla canzone popolare “Mein G’müt ist mir verwirret / von einer Jungfrauzart” di Hans Leo Hassler del 1601. L’unione, detta anche contraffattura, di testo e musica risale al 1613. Riportiamo qui di seguito la melodia ed il testo.

Herzlich thut mich verlangen
nach einem seligen End,
weil ich hier bin umfangen
mit Trübsal und Elend.

Ich hab’ Lust abzuscheiden
von dieser argen Welt,
sehn’ mich nach ew’gen Freuden,
o Jesu, komm nur bald.

Der Leib zwar in der Erden
von Würmen wird verzehrt,
doch auferweckt soll werden,
durch Christum schön verklärt,

wird leuchten als die Sonne
und leben ohne Noth
in himml’scher Freud’ und Wonne.
Was schad’t mir denn der Tod?

La musica del corale e’, come di norma, di semplice struttura, ma la sua potenziale espressivita’, una melodia toccante nata per un ardente canzone d’amore, e’ data dalla sua ambiguita’ armonica tra tonalita’ maggiori e minori, Bach difatti si e’ sbizzarrito nelle sue armonizzazioni a dare a questo brano le piu’ svariate coloriture, come vedremo in seguito. Quello che vogliamo far subito notare e’ il finale, dove la nota conclusiva viene sempre posta da Bach nella posizione di mediante, mentre le parti sottostanti chiudono con la dominante e, naturalmente, la tonica. Tutto questo crea un effetto sospensivo di grande espressivita’. Questo tipo di chiusura, nota anche come Terza piccarda, era comunque tipica nella musica del periodo che va dal XVI al XVIII secolo. Diciamo questo per ribadire il concetto che Bach non invento’ nulla oltre a quello che era gia’ conosciuto: la sua sensibilita’ artistica ed il suo rigore tecnico sono le basi che gli permisero di produrre opere di ineguagliabile valore, perfezionando e rendendo proprie le forme e le espressioni artistiche a lui coeve.

Ritornando al corale, “Desidero di cuore una fine beata, poiche’ qui sono circondato da afflizione e miseria “, in esso persiste il tema dell’amore, con la differenza che ora e’ rivolto a Cristo, o Jesu komm nur bald. Il testo di Knoll, abbastanza crudo per la nostra sensibilita’, esprime l’idea, tanto cara al pietismo luterano , di morte come liberazione dalle sofferenze terrene, una caduta che precede l’ascesi, la risurrezione ed il contatto “faccia a faccia” con Dio. Questo concetto e’ fondamentale in tutta l’opera di Bach, il quale, musicalmente, tratta in maniera personale l’idea della morte . Rimanendo, per ora, sul generale possiamo vedere quale abissale differenza, riscontrabile anche da parte di un ascoltatore poco avveduto, vi sia tra un Requiem cattolico, pensiamo a Mozart, ed una qualsiasi cantata funebre bachiana. Nel primo caso vengono espressi terrore, dolore e sofferente supplica del peccatore di fronte alla dannazione eterna; l’atmosfera e’ quella della minaccia dove la morte rappresenta un arduo ostacolo da superare. Nel secondo caso vengono espressi gioia, sollievo e fiduciosa remissione a Dio; l’atmosfera e’ carica di serenita’, l’uomo dopo il difficile viaggio terreno e’ pronto a ricongiungersi a Dio , questa non puo’ che essere la gioia piu’ grande.

Tutto cio’ ha, ovviamente, delle basi teologiche concrete: Bach aveva una profonda conoscenza delle Scritture e degli scritti di Lutero: trinita’, sacrificio di Cristo, rappresentato dalla croce , e giustificazione per grazia erano gli argomenti basilari trattati da Bach. La morte quindi non fa paura poiche’ il Cristo immolato innocente ha cancellato il peccato o meglio come dice Lutero: ” Devi vedere o considerare la morte non in se stessa, non in te o nella tua natura, ne’ in coloro che la morte ha vinto e che l’ira di Dio ha ucciso: altrimenti sarai perduto e sarai uno di loro. Piuttosto dovrai stornare da quest’immagine i tuoi occhi, i pensieri del tuo cuore e tutti i tuoi sensi in modo radicale, e con forza e perseveranza vedere la morte solo in chi e’ morto nella grazia di Dio e ha vinto la morte: anzitutto in Cristo […]. Allora, sì, la morte in queste immagini non ti apparira’ ne’ spaventosa ne’ orrenda; ti apparira’ invece schernita, morta, soffocata e vinta nella vita. Perche’ Cristo e’ vita soltanto […]. Cosi’ il tuo cuore ha pace e puo’ tranquillamente morire in Cristo e con Cristo “. Infatti la vera morte e’ il peccato conseguentemente, per dirla con S.Agostino, la paura piu’ grande per l’uomo e’ quella di rimanere prigioniero in quella condizione di schiavitu’ e dannazione di “non poter non peccare “, l’unica via d’uscita e’ quindi la “croce” ovvero la fede nel sacrificio di Cristo. Concludendo questo discorso la visione della distruzione della morte la troviamo anche nel libro dell’Apocalisse: “Poi la morte e il soggiorno dei morti furono scagliati nel lago di fuoco: questa e’ la seconda morte “.

Ritornando al corale come elemento liturgico, diciamo che il termine specifico, dato da Lutero, per questi canti e’ appunto Geistliches Lied . Il riformatore diede un’enorme importanza dottrinale a questa forma di espressione religiosa. Il canto, come abbiamo accennato all’inizio, permetteva ai fedeli, per la maggioranza incolti, di imparare facilmente i temi della fede cristiana, dal momento che tali Lied erano scritti in tedesco. Volendo fare un paragone essi avevano la stessa funzione dei mosaici e dei dipinti all’interno delle chiese cattoliche. Ma vediamo cosa dice il riformatore sull’importanza della musica: ” La musica e’ un po’ come una disciplina che rende gli uomini piu’ pazienti e piu’ dolci, piu’ modesti e piu’ ragionevoli. Chi la disprezza, come fanno tutti i fanatici, non puo’ concordare su questo punto. Essa e’ un dono di Dio e non degli uomini; essa scaccia il maligno e rende felici. Grazie alla musica si dimentica la collera e tutti i vizi. Percio’, e sono pienamente convinto di cio’ che dico e non ho alcun timore di dirlo, dal punto di vista teologico nessun’arte puo’ stare alla pari della musica […] E’ assolutamente necessario conservare la musica nella scuola. […] Bisogna abituare i giovani a quest’arte. […] Il canto e’ l’arte piu’ bella e il migliore esercizio. […] Chi sa cantare non si abbandona ne’ ai dispiaceri ne’ alla tristezza; e’ allegro e scaccia gli affanni con le canzoni” . Ma ancor prima di Lutero, che come e’ noto era agostiniano, il canto veniva cosi’ lodato da Agostino: “Sento che le anime nostre assurgono nella fiamma della pieta’ con un ardore ed una devozione maggiore per le sante parole, quando sono accompagnate dal canto, e tutti i diversi sentimenti del nostro spirito trovano nel canto una loro propria espressione che li risveglia …”.

Per concludere questa parte vorremmo riassumere, anche se non appartenente al nostro contesto, il pensiero di Tommaso d’Aquino sull’argomento poiche’ segue da vicino Agostino. L’aquinate in una questione della Summa si chiede se per innalzare lodi a Dio sia necessario il canto. La risposta, partendo dal presupposto che il fine dell’uomo e’ amare Dio, dice che e’ giusto servirci di tutto cio’ che ci possa aiutare a rinforzare questo amore. Il canto, ovvero la musica, e’ lo strumento piu’ adatto in quanto risulta essere, nella sfera del sensibile, la creazione divina che piu’ tende allo spirituale; tutto cio’ che e’ creato da Dio e’ disposto per la sua gloria, in virtu’ del fatto che tutto e’ creato non per necessita’ ma per se stesso “propter semetipsum”.

Riprendiamo ora la nostra strada, tenendo bene in mente che la vecchia iconografia bachiana, un Bach bigotto tutto casa, chiesa e figli, e’ stata, fortunatamente, distrutta . Diciamo questo per non cadere in romantici stereotipi. Premesso cio’, possiamo comunque dire che Bach sia rimasto fedele al punto di vista di Lutero. Egli usa con maestria i temi dei corali ed essendo conscio che gli ascoltatori ne riconoscevano immediatamente il messaggio, poteva permettersi di costruire svariate architetture dove il Cantus firmus rappresentava le fondamenta. Continuando con la metafora architettonica possiamo dire che il genio di Bach e’ rappresentato anche dal suo senso delle proporzioni; dalla sua perizia nel costruire un grande edificio che e’ perfetto in ogni sua parte e che e’ composto da pochi principi, altrettanto fecondi di sviluppi, egli padroneggia magistralmente la materia musicale. Il disegno, la simmetria delle parti e la bellezza austera escono, come da una sorgente, dal genio di Eisenach e le fondamenta poi, su cui quella costruzione che si slancia al cielo poggia, sono in gran parte costituite dall’opera dei suoi predecessori, che non riuscirono pero’ ad elevarsi oltre.

In effetti tutta la musica di Bach e’ basata sulla semplicita’, sempre rigorosa, delle idee. Da temi di spessore irrisorio, anche di qualche paio di note, nascono grandi capolavori contrappuntistici. Il corale rappresenta un ottimo banco di prova per Bach. Centinaia sono le armonizzazioni come pure i preludi su corale dove tutta l’enegia creativa si dispiega. Fu forse a causa di cio’ che si volle vedere, in maniera troppo stereotipata, un Bach campione della riforma e un predicatore in musica. I piu’ classici esempi che possiamo citare sono: I sei Schübler-Choräle (1747) per organo; Orgel-Buchlein (46 preludi su corale, ca. 1713-17), del quale parleremo brevemente piu’ avanti; 18 Preludi su corale dall’Autografo di Lipsia (1747-49); Dritter Theil der Clavierübung (prima del 1739), composto dal Preludio e Fuga S.Anna e da 21 preludi su corale. Aggiungendo alla lista le 389 armonizzazioni su corale per le cantate sacre e le grandi Kirchen Musik, arriviamo tranquillamente a circa 500 opere. La durata di questi ultimi corali supera raramente il minuto e mezzo ma nella loro pur brevita’ testimoniano la capacita’ e la sensibilita’ artistica di chi li ha armonizzati.