Unità di lavoro sul «perdono» – Sem. teol. 24/9/11

Dal 23 al 25 settembre ha avuto luogo il Seminario teologico organizzato dalla CELI e dall’ASLI-Accademia di Studi Luterani in Italia. Questa collaborazione è stata proficua in quanto la CELI ha dato la sala, aiutato nell’organizzazione e sovvenzionato finanziariamente il seminario, mentre l’ASLI ha fornito dei relatori eccezionali come Paolo Ricca e Franco Buzzi, cui si sono aggiunti i pastori Alberto Saggese e Dieter Kampen. Per far partecipe dei contenuti del seminario il maggior numero possibile di persone, pubblichiamo qui in seguito un riassunto delle singole relazioni, cominciando da quella del pastore Dieter Kampen, in quanto già pronta.

Seminario teologico 23-25 settembre 2011
Unità di lavoro sul «perdono»
di Dieter Kampen

Accostandoci al tema, abbiamo dapprima indagato il significato della parola “perdono”, in quanto questo termine viene utilizzato, a seconda dei contesti, con vari significati. Perdonare non è sinonimo di condonare, graziare, scusare o dimenticare. Il condono p.es. non chiede un cambiamento di mentalità o di atteggiamento del condonato. La definizione di perdono, proposta di concerto, è stata infine la seguente: ripristino di un rapporto tra due soggetti morali. Il tema del perdono riguarda quindi il rapporto con Dio, con gli altri e con se stessi. Durante il seminario ci siamo concentrati sul perdono di Dio, pur sottolineando lo stretto intreccio con il perdono nei altri due tipi di relazione.

Questo intreccio è ben evidente in Matteo 18,21-35, nella parabola del servo ingrato, che ci è servita per entrare nel cuore della tematica. Della discussione, peraltro particolarmente proficua, vorrei riassumere solo i punti essenziali per le nostre tematiche. A prima vista potrebbe sembrare che Dio (rappresentato dal re) agisca in modo contraddittorio, perdonando prima la colpa (i debiti) e poi, dopo che l’uomo non si è comportato adeguatamente con il suo simile, infliggendo una adeguata pena. In realtà, questa contraddizione ci sarebbe solo, se si trattasse di un condono, prima concesso, poi ritirato. Se invece si tratta di perdono, non c’è contraddizione: Dio ha perdonato veramente e in modo incondizionato. Però il perdono, definito come ripristino di un rapporto, coinvolge due soggetti. É necessario che il debitore si pente della sua colpa (contrizione) e cambia atteggiamento. É necessaria la metanoia, la conversione, cioè un cambiam ento di mentalità. Il servo della parabola non aveva chiesto perdono perché pentito della sua colpa, ma solo per paura di essere messo in carcere, cioè per paura della punizione. La totale mancanza di metanoia si manifesta in modo evidente nell’atteggiamento del servo verso il suo debitore. Quindi non è che Dio non ha perdonato e che il suo perdono era falso. Semplicemente il perdono non si è realizzato, in quanto il perdonato non era pronto ad accogliere il perdono.

La tematica del perdono classicamente viene sviluppata intorno alla confessione del peccato. Nella teologia cattolica classica si distinguono tre parti della confessione che insieme operano il perdono:

  • contritio: Il peccatore si pente della sua colpa
  • confessio: Il peccatore confessa la colpa al sacerdote e riceve l’assoluzione
  • satisfactio: Il peccatore compie le opere riparatorie (p.es. digiuni, elergizioni, rinunce) che rendono operativa l’assoluzione.

Uno sguardo sulla storia della confessione ci mostra, nel primo medioevo, una mentalità diciamo arcaica, concentrata soprattutto sui fatti esteriori, mentre l’intenzione o la motivazione interiore non erano indagate più di tanto. In questo contesto la parte della satisfactio era la più importante. Il ruolo del sacerdote era soprattutto quello di stabilire le opere adeguate (c’erano dei manuali ben precisi) rispetto alla colpa.
Nel 12esimo secolo si è realizzata una svolta importante, dall’esteriorità all’interiorità, dai fatti ai sentimenti. Questa svolta si può osservare anche nella letteratura e nell’arte e, alla sua base, ci sono stati sicuramente rilevanti ragioni sociali, come ad esempio lo sviluppo delle città. Come sia, una nuova concezione di vita si è realizzata, prospettiva il cui centro era l’amore. Conseguentemente la contritio diventò più importante.
A questo proposito sono stati presentati due figure rappresentative di tale cambiamento. Il primo esempio appartiene alla mistica ed è Bernardo di Chiaravalle, autore molto stimato da Lutero. Tra il 1135 e il 1153 egli scrisse un commento al Cantico dei Cantici, la grande poesia sull’amore, in cui la sposa di Cristo non è più la chiesa, ma l’anima individuale.
L’altro esempio è Pietro Abelardo (1079-1142). Egli appartenne alla prima scolastica, artefice delo sviluppo di un sistema teologico razionale; ma anch’essa mette l’amore al centro. Contemporaneamente possiamo notare l’importanza dell’interiorità, centralità sottolineata dal fatto che la colpa dipende dall’intenzione. Decisivo per ottenere il perdono è l’amore per Dio. L’amore suscita il dolore per la propria lontananza da Dio e quindi la contritio che nel peccatore crea il desiderio di penitenza e del sacramento dell’assoluzione. Però chi muore senza aver avuto la possibilità di ricevere il sacramento è ugualmente salvato, se la contrizione è stata vera. La contritio, suscitata dall’amore, è quindi la parte centrale, mentre la satisfactio diventa solo una raccolta di pene temporali.

Il tema dell’amore resta centrale per tutto il medioevo. Riguardo alla situazione in cui si trova Lutero, possiamo ricordare che:

  1. La passione di Cristo, in cui l’amore di Dio si mostra in modo particolarmente forte, è diventata più centrale.
  2. La dimensione esteriore della penitenza è diventata nuovamente più importante. Questo dipendeva da una paura accentuata del giudizio e del purgatorio e da una mentalità mercantile che ha trovato espressione anche nella vendita delle indulgenze.
  3. Il ruolo del sacerdote e del potere delle chiavi è diventato più importante. Il sacerdote può trasformare un’attritio insufficiente in una contritio degna di ricevere il perdono.
  4. La contritio non è vista solo come opera dello Spirito, ma va ricercato anche con le proprie forze. Qui però le opinioni erano contrastanti: Johann von Staupitz, il padre confessore di Lutero riteneva che la nostra contritio può essere innalzata a Dio solo mediante il dolore e la passione vicaria di Cristo.

La Riforma prendeva il suo inizio intorno alla discussione del perdono. Nelle 95 tesi Lutero descrive cosa è la vera penitenza e attacca in questo contesto la vendita delle indulgenze che non aiutano la vera penitenza, ma inducono i fedeli in una falsa sicurezza che non salva. Abbiamo letto la prima e la quarta tesi:

1. Dominus et magister noster Iesus Christus dicendo. Penitentiam agite. Etc. omnem vitam fidelium penitentiam esse voluit.
4. Manet itaque pena donec manet odium sui (id est penitentia vera intus) scilicet usque ad introitum regni celorum.

1. Il Signore e maestro nostro Gesù Cristo, dicendo: “Fate penitenzia”, volle che tutta la vita dei fedeli fosse una penitenza.
4. Perdura perciò questa pena finché continua l’odio di se stesso (la vera penitenza interiore) cioè fino all’entrata nel regno dei cieli.
(traduzione: Paolo Ricca)

La tesi che la penitenza dovrebbe essere continua, non è del tutto nuova. Anche il monachesimo è pensato in questo senso, anche se tale tesi è in contrasto con la visione cattolica. Per un cattolico l’uomo può essere buono, anche se è certamente sempre minacciato dal peccato, mentre per Lutero l’uomo è sempre peccatore. Questa differenza deriva da una differente concezione di peccato. Per un cattolico peccare significa agire contro i comandamenti, per Lutero è già un peccato non compiere i comandamenti pienamente. Siccome già non riusciamo a compiere il primo comandamento, che poi sta alla base di tutti gli altri, cioè di amare Dio con tutto il cuore, con tutte le forze e con tutto se stesso, restiamo sempre peccatori. Alla base della differenza sta anche una comprensione diversa dell’essere creati a immagine di Dio. Mentre nella teologia cattolica questo viene vista come una qualità dell’uomo, che perciò non può essere tolta completament e, Lutero lo vede come la capacità dell’uomo di stare in relazione con Dio. Perciò l’uomo è completamente peccatore (visto al di fuori di questa relazione, cioè per se stesso) o completamente giustificato (nella relazione con Dio in Cristo): simul iustus et peccator.
Per quanto riguarda la quarta tesi l’odium sui è l’altro lato della medaglia dell’amore per Dio. Più si ama Dio, più si odia il proprio peccato. La vera penitenza è quindi un riflesso dell’amore e non la conseguenza della paura dell’inferno o del purgatorio.

Spesso si è discusso se le 95 tesi siano frutto della teologia riformata oppure appartengano a uno stadio prereformatorio in quanto non parlano della giustificazione per sola grazia. La risposta resta aperta, perché anche se le 95 tesi non parlano della giustificazione per sola grazia è da dire che già nel pensiero di Lutero la questione della penitenza e della giustificazione si erano discostati e nelle 95 tesi si occupa solo del tema della penitenza.

Come testo chiaramente appartenente alla riforma, abbiamo poi esaminato il «Sermo de Poenitentia» del 1518: il sermone tratta le tre parti della confessione: contritio, confessio e satisfactio. Per quanto riguarda le opere di soddisfazione, Lutero non ne parla, ma rimanda solo a un altro suo sermone. In ogni caso non sono più condizione del perdono, ma diventano i frutti del perdono. Per quanto riguarda la contrizione Lutero spiega, come già accennato, che questa deve provenire dall’amore. Dopo la descrizione della vera penitenza, Lutero continua come segue:

Lutero, Sermo de Poenitentia (WA 1,323; LDStA pag. 49): «Secondo, devi vedere che in nessun modo tu confidi di essere assolto per la tua contrizione, (perché così confideresti su di te e sulle tue opere, il che è pessima presunzione), ma per verbo di Cristo, che ha detto: “Quello che sciogli qui in terra, verrà sciolto anche in cielo.”1 Su questo, dico, confida, quando ottieni l’assoluzione dal sacerdote, e credi ancora più fortemente che sei assolto e sarai veramente assolto: Perché Cristo non mente, qualsiasi sia la tua contrizione. Se invece tu non credessi così alla sentenza pronunciata sopra di te da Cristo, che non può mentire, faresti di te il verace e di Dio il mentitore. Perché tale sentenza deve essere vera e certa. Quindi, devi qui piuttosto vedere che a questa fede non manca assolutamente niente come in tutte le altre. (Prendiamo) per assurdo che un confessante non sia contrito o che il sacerdote non assolva sul serio, ma per gioco: se il confessante crede lo stesso che è assolto, è veramente assolto. Una così grande cosa è la fede e così potente è la parola di Cristo. Saranno dunque dannati coloro che non vogliono credere di essere assolti finché non sono certi di essere sufficientemente contriti. E sulla sabbia, non sulla pietra, vogliono costruire la casa della loro coscienza». (Traduzione: Dieter Kampen)

Nella tradizione precedente la chiesa aveva già offerto vari aiuti per diminuire il peso della contrizione, perché nel momento in cui il perdono dipendeva dalla validità della penitenza, si poneva sempre la domanda: La mia contrizione è sufficiente? Per questo dilemma la chiesa aveva offerto vari aiuti e sconti. Il sacerdote trasformava l’atritio in contritio e chi non poteva essere sufficientemente contrito poteva comunque essere contrito di non essere contrito. Come sia, Lutero fa un taglio netto e pone la certezza del perdono non più sulla propria penitenza, ma unicamente sulla parola di Dio. Questo piccolo passo cambia tutto. La certezza della salvezza non viene più fondato sulla propria interiorità, sul proprio sentire, sulla propria fede o sul proprio amore, ma unicamente sulla parola esteriore di Dio che di certo non mente. Questo è il nucleo della teologia, la cosa veramente nuova e sconvolgente che caratterizza e distingue la spi ritualità luterana. Ponendo la fiducia unicamente nella parola di Dio, la fede luterana esclude ogni forma di soggettività ed è particolarmente adatta a resistere anche nei momenti in cui uno non sente Dio.

É un messaggio sempre attuale che potrebbe essere utile soprattutto nell’affrontare i problemi delle comunità carismatiche. Quest’ultime infatti giocano molto sull’emotività dei fedeli. In culti movimentati viene sperimentato la presenza dello Spirito. Ma cosa succede quando l’entusiasmo finisce? Generalmente i pastori carismatici o pentecostali raccomandano di pregare di più, di frequentare di più i culti ecc., conducendo i fedeli in una sorta di dipendenza spirituale. Se invece anche la preghiera non riesce a ridare il sentimento della presenza di Dio, il fedele cade in disperazione. Una fede invece che si basa unicamente sulla parola sviluppa la sua piena potenzialità proprio nei momenti di assenza di Dio.

Certamente questo taglio di Lutero capovolge tutto il sistema teologico del suo tempo. Al centro della teologia non sta più l’amore, ma la fede. La fede stessa viene definita in modo diverso. Nella tradizione cattolica si tratta di un atto intelligibile che come tale non salva e che solo in combinazione con l’amore, cioè come fides caritate formata, ha carattere salvifico. Invece per Lutero la fede non è solo un atto intelligibile, ma un atto di fiducia, quindi un atto esistenziale che coinvolge tutta la persona. E certamente non è pensabile senza l’amore.

Nel testo viene accennata anche una comprensione particolare della parola. Dice che si deve fidarsi delle parole del sacerdote, le quali vengono validate dalla promessa della sacra scrittura. Per Lutero l’annuncio del vangelo non è un discorso che rimanda a certi fatti, ma l’annuncio è la cosa stessa. L’annuncio del perdono non si riferisce a un perdono fatto da Dio in un momento diverso, ma l’annuncio del perdono coincide col perdono, cioè mette in atto ciò che annuncia.

Per questo Lutero abbia ritenuto la confessione sempre di massima importanza, praticamente a pari dei sacramenti, a causa del segno mancante non l’ha contata tra i sacramenti, ma l’ha inquadrata come corollario del battesimo.

Poi, nell’arco dei secoli, anche a causa di una comprensione diversa dell’annuncio del perdono, la confessione auricolare, cioè quella privata tra fedele e pastore, è andata in disuso nella maggior parte delle chiese luterane. Nel 20esimo secolo ci sono stati vari tentativi di recuperarla su larga scala, ma senza successo. Comunque è da sapere che nella chiesa luterana la confessione esiste e che ognuno può richiederla, ma non è obbligatoria. Anche nel nuovo innario della CELI è stata inserita la spiegazione della confessione del Piccolo Catechismo. A tal proposito abbiamo esaminato brevemente la seguente parte:

IL POTERE DELLE CHIAVI E LA CONFESSIONE DEI PECCATI

Cosa è il potere delle chiavi?
È il potere particolare che Cristo ha dato alla sua Chiesa in terra di perdonare i peccati ai peccatori pentiti e di mantenere i peccati a coloro che non sono pentiti, finché non si ravvedano.

Che cos’è la confessione?
Risposta: La confessione comprende due parti. La prima, che si dichiarino i peccati; la seconda, che si riceva l’assoluzione o perdono dal confessore come da Dio stesso e non si dubiti, ma si creda fermamente, che così i peccati siano perdonati, davanti a Dio, in cielo.

Quali peccati si devono confessare?
Davanti a Dio ci si deve riconoscere colpevoli di tutti i peccati, anche di quelli che non conosciamo, come facciamo nel Padre nostro.
Ma davanti al confessore, dobbiamo dichiarare solo i peccati che conosciamo e sentiamo nel cuore.

Quali sono?
Considera la tua condizione alla luce dei dieci comandamenti, se sei padre, madre, figlio, figlia, padrone, padrona, servo; se sei stato disobbediente, infedele, negligente, irascibile, arrogante, litigioso; se hai fatto del male a qualcuno con parole od opere, se hai rubato, trascurato o sciupato o danneggiato qualche cosa.

Prego, indicami una forma breve di confessione.
Risposta:
Devi dire al confessore:
«Prego di voler ascoltare la mia confessione e di annunciarmi il perdono, per amor di Dio».
Al che, confessati colpevole davanti a Dio per tutti i tuoi peccati e pronuncia davanti al confessore ciò che pesa su di te come particolare peccato e colpa.
Puoi chiudere la tua confessione con le parole:
«Tutto ciò mi dispiace, e chiedo grazia; intendo migliorarmi».

Come avviene l’assoluzione?
Il confessore risponderà:
«Dio ti faccia grazia, e rafforzi la tua fede, amen.
Dimmi:
Credi altresì, che il mio perdono è il perdono di Dio?».
«Sì, lo credo».
Al che, egli dice:
«Come credi, ti sia fatto. E io, secondo l’ordine del nostro signore Gesù Cristo, perdono i tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, Amen.
Va’ in pace».
Coloro tuttavia che hanno grandi pesi sulla coscienza, o che sono turbati e tentati, il confessore deve saperli consolare e incitarli alla fede in modo più diffuso. Questa è solo una forma normale di confessione, ad uso dei semplici.

Fonte: Innario della CELI e Martin Lutero, Il Piccolo Catechismo (1529), a cura di Fulvio Ferrario, Torino, Claudiana, 2004².

Le parole del Credo, del Padre nostro e dell’istituzione della Santa Cena sono state adattate a quelle attualmente in uso nella CELI. La parte sulla confessione è spostata alla fine ed è stata fortemente modificata per adattarla al testo comune tedesco, concordato nel 1986 tra la Chiesa Evangelica dell’Unione (oggi: Unione delle Chiese Evangeliche) e la Chiesa Evangelica Luterana Unita in Germania.

Infine ci siamo chiesti come si può annunciare il perdono di Dio oggi. Visto che la chiesa è la comunità dei perdonati, che il significato del battesimo e della santa cena si concentrano nel perdono e che quindi il perdono è il tema centrale della nostra teologia, la domanda non è da poco. Non posso riportare tutta la discussione che poi ha sfiorato anche domande di annuncio in generale, ma vorrei riassumere qualche pensiero centrale.

Oggi la gente normalmente non ha più paura del giudizio di Dio, del purgatorio o dell’inferno, per cui la questione del perdono del peccato a prima vista sembra meno interessante. Però anche oggi c’è molta paura e sofferenza per questioni esistenziali come il non senso della vita o lo sfacelo della società. Il disagio diffuso può essere un punto di partenza, però se il perdono dei peccati vuole essere la risposta al disagio, deve essere spiegato in modo adeguato.

Fondamentale è interpretare il peccato (singolare!) non in chiave moralistica, ma in chiave esistenziale, anche se certamente esistono anche i peccati morali che hanno bisogno di perdono, però per la maggioranza la questione esistenziale è più virulenta. Qui ci aiutano i riformatori che già avevano una visione esistenziale del peccato (da cui solo in conseguenza derivano i peccati morali), definendo il peccatore come homo incurvato su se stesso, cioè separato da Dio. Il perdono ristabilisce il rapporto con Dio e potrebbe quindi essere chiamato anche riconciliazione con Dio e di conseguenza con il mondo. La riconciliazione conduce da una vita povera e atomizzata alla vita piena e in armonia con Dio e il mondo. Certamente restano aperte tante domande, ma spero che il seminario abbia potuto dare utili spunti di riflessione.