POLITICA E LUTERO

di Giorgio Ruffa


Oggi parlo di politica, dato che spesso vengo considerato un conservatore, magari “negativamente”. Certamente potrei definirmi tale, ma non secondo le categorie attuali, ma secondo un altro punto di vista… quello luterano classico. Nella visione politica di Lutero, non essendo possibile in alcun modo postulare l’esistenza di una “scala umana” meritocratica o, per meglio dire, dei differenti gradi di prossimità a Dio, l’intera comunità civile viene riportata ad un unico livello: cioè al livello terreno. La società degli uomini è perciò una realtà di per sé conclusa, avente in sé stessa il proprio principio e il proprio fine, non tendente verso alcuna realtà trascendente. La salvezza è una questione personale, non civile, coram Deo.

Questa concezione la potremmo definire “organicistica”, la società è, dunque, un organismo dotato di una propria struttura e di un proprio funzionamento interno. Nel seguente passo, tratto dall’Appello alla nobiltà tedesca del 1520, si legge: “Cristo non ha due corpi né due specie di corpi, l’uno secolare e l’altro religioso. Proprio come [all’interno della comunità umana] […] preti, vescovi o papi, non si distinguono dagli altri cristiani per altezza o dignità, ma per essere deputati per amministrare la parola di Dio ed i sacramenti […], così come l’autorità secolare ha in mano la spada e le verghe, onde punire i malvagi e proteggere i buoni“.

Il discorso sociale di Lutero si fonda pertanto sull’idea secondo cui la comunità di Cristo è il “corpo di Cristo stesso”, e che “ciascuno dovesse essere utile e servire agli altri con l’opera sua e il mestiere, sì che insomma tante opere diverse tutte concorressero ad un unico fine […]; giusto come avviene delle membra del corpo, dove ciascuna è d’aiuto alle altre“.

I ruoli nella società sono dunque fondamentali; si legge, infatti, sempre nell’Appello alla nobiltà tedesca, che “l’autorità secolare è tenuta a difendere le leggi e a proteggere gli innocenti […]. perché se uno esercita il proprio ufficio ciò è già tutta preghiera, protezione e lavoro; tuttavia ciascuno ha il suo compito specifico“.

Ricordiamo che per Lutero, seguendo San Paolo (Cfr. Ro 7:18-25), nel singolo uomo convivono due opposte nature (l’una spirituale e l’altra carnale), nella società umana coesistono, di conseguenza, due opposte pulsioni: quella dello Spirito (che implica la più assoluta libertà interiore), e quella del Peccato (che implica invece la sottomissione dell’individuo all’autorità civile). Secondo San Paolo la Legge è fatta per l’ingiusto (Cfr. 1Tm. 1:9), con questo Lutero poteva affermare che “se uno volesse reggere il mondo secondo il Vangelo e abolire il diritto e la spada secolare, sostenendo che, essendo tutti nel mondo battezzati e cristiani, tra i quali il Vangelo non vuole né legge né spada, tutto ciò non è necessario, […] scioglierebbe lacci e catene alle bestie feroci, cosicché potrebbero sbranare e dilaniare chiunque. […] I malvagi, sotto nome di cristiani, abuserebbero della libertà evangelica per esercitare la loro impurità“.

Quindi, secondo la dialettica simul iustus et peccator, il cristiano attraverso la fede è libero nello Spirito, rimane tuttavia anche − in quanto creatura terrena − prigioniero della carne: ciò comporta la coesistenza nella sua persona di una componente assolutamente libera e non soggetta ad alcuna legge, e di un’altra ancora schiava del peccato, da sottomettere e guidare perciò attraverso la spada del potere temporale.

La libertà civile, peraltro, è l’unica esprimibile dall’uomo, in quanto quella Spirituale non dipende assolutamente da lui. Concetto espresso ufficialmente anche nel XVIII articolo della Confessione di Augusta del 1530: “[…] la volontà umana ha una certa quale libertà nell’attuare la giustizia civile e nello scegliere le cose che dipendono dalla ragione. Ma non ha il potere, senza lo Spirito Santo di attuare la giustizia di Dio o giustizia spirituale, poiché l’uomo naturale non può percepire le realtà proprie dello Spirito di Dio […]”. Questa tesi è basata sul testo paolino di 1Co 2:14-15.

Un secondo aspetto conseguente della visione politica del riformatore, consiste poi nell’idea secondo cui, in quanto espressione diretta della stessa volontà divina, l’assetto dello Stato deve quasi sempre essere mantenuto per quello che è, contro ogni tentativo di sovvertimento, soprattutto violento, da parte di qualsiasi soggetto sociale. Nella sua visione lo status quo sul piano politico deve venire considerato, quale che esso sia, come l’espressione della volontà trascendente di Dio, e in quanto tale essere anche rispettato e mantenuto. Ad ogni modo, Lutero riconosce a tutte le classi che compongono la comunità civile il diritto di protestare contro le eventuali ingiustizie subite dal potere secolare (ragione per cui egli aveva inizialmente riconosciuto la giustezza delle richieste dei contadini, prima che queste sfociassero negli anni venti nella violenza esplicita), ma non riconosce loro il diritto di turbare con la sedizione l’ordine sociale. Non sarebbe lecito, in altri termini, imporre con la forza le proprie motivazioni a quelle superiori. Legittimo è, invece, proporre, nell’ambito della legalità, si direbbe oggi, riforme ed emendamenti per migliorare le leggi.

Per Lutero è fondamentale la stabilità e l’ordine sociale, che deve essere mantenuto e rispettato per sé stesso, e mai essere alterato con la forza e la violenza, ma solo attraverso la legge stessa della comunità.


Testi di riferimento:

Martin Lutero, Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca – A proposito della correzione e del miglioramento della società cristiana (1520), a cura di P.Ricca, Claudiana, Lutero Opere scelte Vol. XI, 2008.

Martin Lutero, L’autorità secolare, fino a che punto le si debba ubbidienza (1523), a cura di P.Ricca, Claudiana, Lutero Opere scelte Vol. XV, 2015.]


 

Be the first to comment

Leave a Reply

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


* Copy This Password *

* Type Or Paste Password Here *