Premessa. Questo articolo ha avuto una buona accoglienza, con oltre cinquecento letture e decine di condivisioni su social network, però pensavo non ci fosse bisogno di precisare che esso non avesse alcuna intenzione polemica, ho usato, infatti, i termini “spirito ecumenico” ed ho scritto in forma divulgativa. Il fine, chiaramente, è quello di invitare alla discussione, tutti e nessuno escluso. Del resto la recente dichiarazione di Lund (del 31 ottobre 2016, Festa della Riforma) sottoscritta da Papa Francesco invita alla conoscenza reciproca e al confronto culturale, oltre che spirituale: “Cattolici e luterani abbiamo cominciato a camminare insieme sulla via della riconciliazione. Ora, nel contesto della commemorazione comune della Riforma del 1517, abbiamo una nuova opportunità di accogliere un percorso comune, che ha preso forma negli ultimi cinquant’anni nel dialogo ecumenico tra la Federazione Luterana Mondiale e la Chiesa Cattolica. Non possiamo rassegnarci alla divisione e alla distanza che la separazione ha prodotto tra noi. Abbiamo la possibilità di riparare ad un momento cruciale della nostra storia, superando controversie e malintesi che spesso ci hanno impedito di comprenderci gli uni gli altri“.
Per aggiornarsi sull’attuale stato dei rapporti ecumenici in corso consiglio la lettura del testo del cardinale, e teologo, cattolico Walter Kasper, MARTIN LUTERO – Una prospettiva ecumenica, Queriniana, 2016 (cliccare sull’immagine della copertina per saperne di più).
Se poi, spero di no, dovesse essere l’argomento religioso a dar problema, me ne dolgo, ma sottolineo al contempo che è un aspetto fondamentale della nostra cultura, a prescindere dall’essere credenti o meno. Se non siamo in grado di confrontarci tra cristiani, come potremmo pretendere di esserlo con persone di diversa cultura?
Serena riflessione evangelica, in spirito ecumenico, in occasione della festività basata sul dogma dell’Immacolata concezione di Maria. Partiamo dalle bellissime parole del Vangelo di Luca.
Luca 1:46 E Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore, 47 e lo spirito mio esulta in Dio, mio Salvatore, 48 perché egli ha avuto riguardo alla bassezza della sua serva; poiché ecco, d’ora in poi tutte le generazioni mi proclameranno beata, 49 perché il Potente mi ha fatto cose grandi, e Santo è il suo nome! 50 E la sua misericordia si estende di generazione in generazione verso coloro che lo temono. 51 Egli ha operato potentemente col suo braccio; ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; 52 ha rovesciato i potenti dai loro troni ed ha innalzato gli umili; 53 ha ricolmato di beni gli affamati e ha rimandato i ricchi a mani vuote. 54 Egli ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, 55 come aveva dichiarato ai nostri padri, ad Abrahamo e alla sua progenie, per sempre».
Figura chiave, importantissima, quella di Maria, la “benedetta tra le donne”. Ma, in che senso è benedetta? Maria non è “la porta del cielo”, come dicono alcuni, perché Gesù stesso ha detto che «Egli è la via e nessuno viene al Padre se non per mezzo di Lui» (Gv. 14:6). Come pure, «non vi è infatti altro nome se non quello di Gesù, per il mezzo del quale siamo salvati» (At 4,12). Lutero, nel commento al Magnificat, vede in Maria una figura umile, umana e rispettosa che vive con gioia i doni della Grazia. La più grande gioia per chi vive nella Grazia è, infatti, servire Dio. Lutero interpreta l’atteggiamento di Maria dicendo: «[…] dal momento in cui Dio ha riguardato alla mia bassezza verrò chiamata beata. Con ciò non essa viene lodata, ma la grazia di Dio scesa su di lei»; «[…] Beata sei tu che hai trovato un tale Dio». Non ci deve dispiacere di ritenerla indegna di tale grazia: «Infatti senza dubbio non ha mentito, confessando la propria indegnità e bassezza che Dio ha riguardato, non per suo merito, ma per pura grazia». Tanto più si parla del suo merito tanto più si sminuisce la grazia e il Magnificat; si rischia di fare della Madre di Dio un idolo. Lutero legge, pertanto, in maniera più ampia l’espressione «chiamare beata», che vuol dire «beatificare» o «rendere beato». Infatti, se leggiamo Luca 1:48 dove appare il termine “beata”, «ὅτι ἐπέβλεψεν ἐπὶ τὴν ταπείνωσιν τῆς δούλης αὐτοῦ, ἰδοὺ γὰρ ἀπὸ τοῦ νῦν μακαριοῦσίν με πᾶσαι αἱ γενεαί», scopriamo che termine μακαριοῦσίν non significa altro che “dichiarare benedetto”.
Evidentemente il rispetto verso la figura di Maria non si riduce a genuflessioni e riverenze, ma si fonda sulla speranza di giungere, come lei, a gioire in Dio. Questo è il «debito onore» delle generazioni che si succederanno: gioire in Dio. Per Karl Barth (Basilea, 10 maggio 1886 – 10 dicembre 1968) la risposta di Maria non viene dalla natura, ma dalla Grazia. È beata non a causa della fede, ma per ciò che dice il Signore, quindi dalla Parola.
Nel “Commento al Magnificat” del 1521, Lutero identifica tutto in quell’assolutamente gratuito che è l’”essere di Dio” cui Maria appare nella storia e nella vita della creazione. Da questo commento Maria appare soprattutto nella luminosa esemplarità di strumento: Maria vive in maniera straordinaria l’impresa che compete a ogni cristiano, collocandosi pertanto nel cuore stesso dell’umanità. La teologia protestante non ha bisogno, anzi rifiuta, qualunque lettura corredentrice, infatti è già abbastanza sublime come la potenza di Dio possa trasformare una «umile ancella» nello strumento della sua azione salvifica giustificando, peraltro, l’aspetto umano di Gesú.
Bisogna dire che dogmi e tradizioni hanno, in alcuni casi, trasformato Maria, nel contesto della religiosità popolare, quasi in una divinità corredentrice dedicandole templi e altari, tutto giustificato dalla teologia cattolica che, però, distingue, molto correttamente peraltro, il culto di “latria” (adorazione [dal lat. tardo latrīa, gr. λατρεία «servitù, culto», der. di λατρεύω «servire»]), dovuto solo all’unico e all’eterno Dio, dal culto di “dulia” (venerazione [dal gr. δουλεία, propr. «servitù», der. di δοῦλος «servo»].), dovuto a figure che parteciperebbero alla santità di Dio. Però la teologia del monoteismo cristiano è già resa complessa, ma coerente, dal suo concetto di Trinità, cosa vogliamo fare rendendo Maria un “intercessore” esemplare? Complicare ancora di più le cose con una ambigua tetraeità, del resto già in nuce nel concetto di Θεοτόκος (Madre di Dio)?
Gli evangelisti Matteo e Luca riferiscono della concezione virginale di Gesù per indicare che egli proviene da Dio per parte di Padre e dall’umanità per parte di madre. Ma non c’è alcun supporto di tipo biblico per i due grandi dogmi mariani della Chiesa Cattolica Romana: l’Immacolata concezione di Maria, promulgata nel 1854, che afferma che Maria stessa è stata concepita immacolata, cioè che è nata senza peccato; e l’Assunzione di Maria, promulgata nel 1950, che afferma la sua glorificazione in cielo. Questi dogmi ci danno infatti l’impressione che, poiché Gesù è davvero del mondo di Dio da parte di Dio suo Padre e davvero del mondo degli uomini da parte di sua madre Maria, ogni tentativo di elevare Maria al di sopra del mondo umano ci faccia perdere un po’ dell’umanità di Gesù, facendoci in seguito cercare degli intermediari come Maria o i santi per accedere a un Cristo divenuto fuori della nostra portata. L’insistenza sulla nascita virginale per i protestanti è una “adiapohora”, una dottrina non necessaria, anche perché è differente il modo di considerare la posizione della donna e della sessualità. Non vi è nulla nella Bibbia che valorizzi la verginità, in quanto tale, e, in effetti, la purezza non risiede lì, ma in qualcosa di ben più profondo, che ha a che fare con il perdono di Dio (Cfr. Giovanni 8:1-12).
Tutto questo discorso, attenzione, non vuole minimamente ridurre l’importanza della figura di Maria, ma anzi, esaltarla come prototipo esemplare di vita nella Grazia… Solo la Grazia rende Maria ciò che è. Letta in questa chiave, quanta bellezza e quanta speranza dona la preghiera di ringraziamento di Maria riportata nel primo capitolo del Vangelo di Luca e citata in apertura di questo articolo.
Ed è speranza dell’umanità essere, come Maria, abbracciati dalla Grazia di un Dio misericordioso.
I protestanti, quindi, amano e rispettano Maria come tutti i personaggi biblici che sono testimoni, modelli e esempi di vita con Dio, collaboratori nel grande disegno della creazione divina di un mondo più giusto, intessuto di speranza e di amore. Ma non pregano né chiamano “santa” Maria, poiché hanno una concezione della santità che non li fa chiamare nessuno “santo” in modo esclusivo. Infatti, nessun personaggio biblico, né della chiesa o di questo mondo è più amato, perdonato, glorificato rispetto a un altro, e, soprattutto, non debba diventare oggetto di venerazione o soggetto di intermediazione tra Dio e l’umanità. Questo tramite già esiste, come abbiamo detto, ed è Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Si deve pregare Dio direttamente, con spirito di ringraziamento, senza orgoglio, senza paura, e senza intermediazioni. Bisogna resistere alla grande tentazione di un atteggiamento di continue richieste e di ricerca di intercessione e d’intervento. Il rapporto con Dio (coram Deo) non deve assolutamente rischiare di divenire utilitaristico.
Detto questo, tutti gli eletti da Dio – Maria in primis – sono considerati santi, ma non per un merito particolare, ma perché salvati “per grazia, per mezzo della fede e non per le opere, affinché nessuno se ne glori” come scrive Paolo (Efesini 2,8-9). Questa frase di Paolo descrive la situazione di tutti gli uomini e di tutte le donne, allo stesso modo peccatori e perdonati.
Concludendo, non potremmo neppure aver Fede, e neppure pregare, se ciò non venisse suscitato dall’opera di Dio. Scrive bene, a questo proposito, Agostino nella Lettera 194: «3. 15. Se infatti diremo che in precedenza c’è stata la fede in cui era il merito della grazia, qual merito aveva l’uomo prima di ricevere la fede? Che cosa infatti ha uno senza che lo abbia ricevuto? Ora, se lo ha ricevuto, perché mai se ne vanta come se non lo avesse ricevuto 46? Come nessuno avrebbe la sapienza, l’intelletto, il consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà, il timor di Dio se non avesse ricevuto, secondo il detto del Profeta, lo Spirito di sapienza e d’intelletto, di consiglio e di fortezza, di scienza, di pietà e di timor di Dio 47, e come nessuno avrebbe nemmeno il coraggio, la carità, la continenza se non avesse ricevuto lo Spirito di cui l’Apostolo dice: Non avete infatti ricevuto lo Spirito di timore, ma di coraggio, di carità e di continenza 48; così non avrebbe nemmeno la fede, se non avesse ricevuto lo Spirito di fede, di cui il medesimo Apostolo dice: Ora, avendo il medesimo Spirito di fede, secondo quanto sta scritto: Ho creduto e perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo 49. Che poi la fede sia ricevuta non per qualche merito, ma per misericordia di Colui che ha pietà di chi vuole 50, lo dimostra assai chiaramente l’Apostolo nel passo in cui di se stesso dice: Ho ottenuto la misericordia d’essere fedele. 4. 16. Se poi diremo che ai fini di ottenere la grazia precede il merito della preghiera, il fatto che è la preghiera ad ottenere tutto quello che ottiene, dimostra evidentemente ch’è un dono di Dio, affinché l’uomo non pensi d’avere da se stesso ciò che, se fosse in suo potere, di certo non lo chiederebbe con la preghiera. Perché non si pensi – dico – che precedono almeno i meriti della preghiera, in ricompensa dei quali sarebbe concessa una grazia non gratuita – che perciò non sarebbe più nemmeno grazia poiché sarebbe una ricompensa dovuta – anche la stessa preghiera si trova tra i doni della Grazia.».
Leave a Reply