Ma l’uomo peccatore può autoassolversi ed assolvere?

Un Pentimento?

di Giorgio Ruffa

Il Giubileo 2000 ci ha regalato un’altra chicca! E da questa parto per una riflessione sulla natura umana.

MEA CULPA: IL PAPA A SAN PIETRO; Chiede perdono per errori Chiesa

ROMA – Con una “statio” davanti alla Pieta’ di Michelangelo, il Papa ha dato inizio in san Pietro alla celebrazione in cui la Chiesa chiedera’ perdono per gli errori commessi nei duemila anni della sua storia, una delle piu’ importanti e coraggiose del Giubileo. Dopo aver percorso in processione la navata centrale della basilica di san Pietro, seguendo il crocifisso di san Marcello, dall’altare, Giovanni Paolo II guidera’ la liturgia eucaristica. (©2000 Ansa)

Vaticano: “Chiediamo perdono e perdoniamo”, dice il Papa.

ROMA – “Chiediamo perdono per le divisioni che sono intervenute tra i cristiani, per l’uso della violenza che alcuni di essi hanno fatto nel servizio della verità, e per gli atteggiamenti di diffidenza e di ostilità assunti talora nei confronti di seguaci di altre religioni”. Così ha detto il Papa oggi durante la messa celebrata nella basilica di San Pietro a Roma. Si tratta dell’atteso mea culpa della chiesa per gli errori del passato. Il Pontefice ha poi aggiunto: “In pari tempo, mentre confessiamo le nostre colpe, perdoniamo le colpe commesse dagli altri nei nostri confronti: nel corso della storia innumerevoli volte i cristiani hanno subito angherie, prepotenze, persecuzioni a motivo della loro fede”. (©La Repubblica 12/03/2000)

Il 12 marzo 2000 la chiesa cattolica romana ha chiesto perdono per i suoi errori del passato. E allora? La prima contraddizione che salta agli occhi è questa: la chiesa cattolica si considera, o no, senza peccato? O forse, per fare una battuta, conta sul suo depositum fidei per realizzare un’autoassoluzione plenaria di vasta portata?

Leggiamo questo passo da 1 Samuele: 15:24 Allora Saul disse a Samuele: “Ho peccato, perché ho trasgredito il comandamento del SIGNORE e le tue parole, perché ho temuto il popolo, e ho dato ascolto alla sua voce. 25 Ti prego dunque, perdona il mio peccato, ritorna con me e mi prostrerò davanti al SIGNORE”. 26 Ma Samuele disse a Saul: “Non ritornerò con te, poiché hai rigettato la parola del SIGNORE e il SIGNORE ha rigettato te perché tu non regni più sopra Israele”. 27 Come Samuele si voltava per andarsene, Saul lo prese per il lembo del mantello, che si strappò. 28 Allora Samuele gli disse: “Il SIGNORE strappa oggi di dosso a te il regno d’Israele e lo dà a un altro, migliore di te. 29 Colui che è la gloria d’Israele non mentirà e non si pentirà; egli infatti non è un uomo perché debba pentirsi”. 30 Allora Saul disse: “Ho peccato; ma tu adesso onorami, ti prego, in presenza degli anziani del mio popolo e in presenza d’Israele; ritorna con me e mi prostrerò davanti al SIGNORE, al tuo Dio”. A quanto pare la preoccupazione di Saul era quella di riscattarsi davanti al suo popolo e secondariamente dinanzi a Dio. Il pentimento non è un’atto pubblico, ma coinvolge il singolo: nessun uomo può riscattare il fratello, né pagare a Dio il prezzo del suo riscatto (Sal 49:7).

Ma poi da dove proviene il pentimento? Non è questa la questione che voglio toccare, come pure non m’interessa parlare dei culti cattolici, ma di ben altro. Ossia che “non c’è sulla terra nessun uomo giusto che faccia il bene e non pecchi mai”(Ec 7:20). La chiesa, nel suo senso più ampio, rappresenta una comunità di uomini, che in quanto tali posseggono delle ben determinate limitazioni.

L’espressione “l’uso della violenza che alcuni di essi hanno fatto nel servizio della verità” che significa? La verità è violenza, “Non pensate che io sia venuto a metter pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada” (Mat 10:34).

Permettetemi una lunga, ma pertinente, citazione da R.G. Stewart, Commentario esegetico pratico dei quattro Evangeli, Torre Pellice, Libreria Editrice Claudiana, 1929.

Queste parole (Mat 10:34), apparentemente paradossali, sono strane in bocca di colui che è “il Principe della pace”. (Conf. Luca 2:14; Salmo 72:7; Isaia 9:6-7; Aggeo 2:9; Efesini 2:14). Eppure sono eminentemente vere, non perché Cristo si diletti a suscitare odio e guerra fra uomo e uomo, non perché la tendenza naturale delle sue dottrine sia di generare invidie, odii e stragi, anziché sensi di pace ed amore; ma perché l’inimicizia verso Iddio, che sempre cova nel cuore naturale benché non si faccia sentire quando nulla ne eccita l’attività, fu, dal soffio di Satana, fatta divampare in fiamma sterminatrice, alla venuta del Figlio di Dio, e a cagione delle dottrine che i suoi discepoli divulgarono nel mondo. “La spada”, cioè la discordia, era già sulla terra, nei cuori corrotti degli uomini. Essa aspettava soltanto un pretesto per agire, e la venuta di Cristo lo porse. Come Paolo (Romani 7:11) ci insegna che “il peccato, presa occasione dal comandamento, l’ingannò, e per mezzo d’esso l’uccise”, così l’odio nostro naturale verso la santità di Dio prese occasione dalla venuta di Cristo, proclamante pace in terra, per suscitare una guerra universale! “Cristo”, dice Calvino, “il quale è propriamente l’autore della pace, è, a cagione della malvagità degli uomini, l’occasione della discordia”. Gesù predice qui che “la inimicizia fra il seme della donna, e il seme del serpente” (Genesi 3:15), penetrerebbe anche nelle famiglie, e la storia della Chiesa conferma ampiamente questa profezia. Sia il marito o la moglie, sia il padre o il figlio, ecc., che in seno a una famiglia mondana passi dalle tenebre alla luce, i contrasti, le lotte, e spesso le acerbe persecuzioni e gli odii mortali divampano ad un tratto in quella casa contro il discepolo di Gesù.

La mia riflessione prende lo spunto proprio da questa frase: “La spada”, cioè la discordia, era già sulla terra, nei cuori corrotti degli uomini.

La categoria del peccato è sempre bellamente sottaciuta al giorno d’oggi, e nessun uomo ne è esente, anche chi crede di poter assolvere con i propri meriti al suo male radicale.

Ora, secondo le Scritture il primo peccato viene rappresentato dalla violazione da parte d’Adamo del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male: atto punibile per il solo fatto che Dio l’avesse proibito. Questa rappresentazione mostra come l’uomo non fosse disposto a piegare incondizionatamente il proprio arbitrio alla volontà di Dio, proprio perché libero. L’essenza di tale violazione può essere descritta dalla parola disubbidienza. Non solo, ma quest’atto nascondeva di peggio: incredulità, superbia e presunzione della creatura nei confronti del Creatore, tutte cose ben rappresentate dalla ribellione di Lucifero (Cfr. Is 14:12).

La conseguenza immediata fu la perdita dell’immagine di Dio in senso stretto: l’uomo divenne così colpevole e corrotto in senso assoluto (Cfr. Giov 8:44 “Voi siete figli del diavolo, che è vostro padre, e volete fare i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio e non si è attenuto alla verità, perché non c’è verità in lui. Quando dice il falso, parla di quel che è suo perché è bugiardo e padre della menzogna”). E la colpa venne a condizionare tutta la natura umana, in quanto Adamo, per dirla con Kierkegaard, “er det første Menneske, han er paa eengang sig selv og Slægten” [“Adamo è il primo uomo; egli è se stesso e insieme il genere umano”; S. Kierkegaard, Il concetto dell’angoscia, tr. it. di C. Fabro, in Opere, Firenze, Sansoni, 1972, p. 122. S. Kierkegaard, Samlede Værker, Bind 6, København, Gyldendal, 1978 (ristampa terza edizione, 1962), pg.125.]. Il marchio infamante, se possiamo chiamarlo così, che contraddistingue peraltro questa nuova natura è l’essere diventato preda della morte (Cfr. Gen 3:19, Ro 5:12, Ro 5:17, Ro 6:23). La caratteristica permanente dell’uomo peccatore è la disubbidienza di fronte a Dio. Questa porta l’uomo a volere e far di tutto per soddisfare i propri desideri egoistici, in quanto il rapporto con Dio è stato interrotto. Questa è la servitù: il vivere nel circolo vizioso delle proprie passioni, le quali produrranno tutti i peccati attuali possibili, in quanto l’uomo agirà come un cieco, ossia, fuor di metafora, privo della luce dello spirito. Per richiamare la figura agostiniana della volontà come bilancia, ormai egli agisce senza sapere che la sua capacità di misura del male e del bene è compromessa dal peccato: con termini “tecnici” potremmo dire che lo strumento funziona perfettamente, ma è fuori taratura…

Questi concetti sono sinteticamente riassunti, da Lutero, in un opera programmatica, che rappresenta una vera e propria confessione di fede. Stiamo parlando dei cosiddetti Articoli di Smalcalda (1537-1538) che Lutero redasse per essere presentati al Concilio indetto da Paolo III, concilio che, però, mai ebbe luogo durante la vita del riformatore. Riguardo al peccato, leggiamo: “Qui dobbiamo confessare, come dice S. Paolo in Romani 5 [:12] che il peccato proviene da un unico uomo, Adamo, attraverso la cui disubbidienza tutti gli uomini sono diventati peccatori e sottomessi alla morte e al diavolo. E quel che viene chiamato il peccato originale o capitale. / I frutti di questo peccato sono poi le opere malvagie, che sono proibite nei dieci comandamenti, come l’incredulità, la falsa fede, l’idolatria, la mancanza di timor di Dio, la presunzione, la disperazione, la cecità, insomma non conoscere Dio e non tenerlo in considerazione, e quindi mentire, giurare in nome di Dio, non pregare, non invocarlo, non osservare la Parola di Dio, disubbidire ai genitori, uccidere, vivere licenziosamente, rubare, ingannare, ecc. / Questo peccato originale è una corruzione della natura così profonda e perniciosa che nessuna ragione può conoscerla ma dev’essere creduta sulla base della rivelazione della Scrittura: Salmo 51 [:7], Romani 5 [:12ss], Esodo 33 [:20], Genesi 3 [:6ss]” (WA 50, 221).

Per chiarezza, dobbiamo adesso distinguere i due termini che abbiamo appena nominato: il peccato originale e il peccato attuale, ovvero quello che risulta dai singoli atti umani. I due concetti sono strettamente legati in quanto il peccato originale è la radice del peccato attuale. Tutti gli uomini nascono in condizione e stato di peccato poiché il peccato originale comprende sia la colpa che la contaminazione: la colpa del peccato di Adamo viene ereditata come una contaminazione in quanto suoi discendenti. I peccati attuali procedono dunque dal peccato originale, ossia l’uomo ora agisce in virtù della sua natura ereditata ed inclinata al male.

Leggiamo dal De Servo Arbitrio questo passo che ci mostra quale siano per Lutero le conseguenze del peccato originale che coinvolge tutti gli uomini.

“Forse ci si chiederà come si possa dire che Dio operi in noi il male, ovvero che ci indurisca, ci abbandoni alle nostre concupiscenze, ci seduca e così via? Ci si dovrebbe in realtà accontentare delle parole di Dio e credere semplicemente quello che esse dicono, in quanto le opere di Dio sono del tutto inscrutabili [Rom. 11,33]. Tuttavia, in ossequio alla ragione – vale a dire alla stupidità umana —noi pure proveremo a dire delle sciocchezze e delle stupidaggini, nel tentativo di influenzarla in qualche modo con i nostri balbettii.

In primo luogo, anche la ragione, come la Diatriba, ammette che Dio opera tutte le cose in tutti [I Cor. 12,6] e che senza di lui nulla avviene né ha efficacia. Egli è infatti onnipotente e ciò appartiene all’immensità della sua potenza, come dice Paolo nell’epistola agli Efesini [Ef. 1,19]. Ora, Satana e l’uomo, essendo caduti e abbandonati da Dio, non possono volere il bene, ovvero ciò che piace a Dio o che Dio vuole; al contrario, sono di continuo rivolti verso i propri desideri, per cui non possono fare altro che ricercare quanto è in loro. Quindi questa loro natura e volontà così distolte da Dio non sono un puro nulla. E difatti Satana e l’uomo empio non sono un puro nulla e neppure sono privi di una qualche natura o volontà, benché abbiano certamente una natura corrotta e deviata. Pertanto questo resto della natura di cui parliamo nell’empio e in Satana, in quanto creatura e opera di Dio, non è meno soggetto all’onnipotenza e all’azione divina di tutte le altre creature e opere di Dio.

Ora, dato che Dio muove e opera ogni cosa, necessariamente muove e opera anche in Satana e nell’empio. Ma opera in loro conformemente a come essi sono e a come li trova; ciò vuol dire che, poiché sono perversi e malvagi e tuttavia subiscono l’impulso dell’onnipotenza divina, essi non fanno che opere perverse e malvage. È come un cavaliere che monti un cavallo zoppo a una o a due zampe; lo monta per quello che è il cavallo, il quale infatti procede malamente. Ma che cosa può fare il cavaliere? Monta il cavallo zoppo così come monterebbe un cavallo sano: quello male, questo bene; non può fare altrimenti, a meno che il cavallo non guarisca.

Vedi così che, quando Dio opera nei malvagi e mediante i malvagi, si compie il male; Dio tuttavia non può compiere il male, benché ne faccia per mezzo dei malvagi . Dal momento che è buono, egli non può compiere il male; si serve però di strumenti cattivi, che non possono sottrarsi all’impulso e alla forza della sua potenza. La colpa sta quindi negli strumenti, ai quali Dio non permette di restare inattivi, ragion per cui il male si compie per impulso di Dio. Allo stesso modo, un carpentiere taglia male con una scure dentata. Ne consegue che l’empio non può che errare e peccare sempre, poiché l’impulso della potenza divina non gli consente di star fermo, ma lo fa volere, desiderare, operare per quello che è la sua natura.

Tutto questo è certo e sicuro, se crediamo che Dio è onnipotente e che perciò l’empio è una creatura di Dio, la quale però, allontanatasi da lui e abbandonata a se stessa senza lo Spirito divino, non può volere o fare il bene. L’onnipotenza divina fa sì che l’empio non possa sottrarsi all’impulso e all’azione di Dio, ma che, in quanto sottoposto ad essi, necessariamente vi obbedisca. D’altro canto, la corruzione o l’allontamento da Dio fa sì che l’uomo non possa essere spinto e condotto verso il bene. Dio non può rinunciare alla propria onnipotenza perché I ‘uomo si è allontanato da lui; e neppure l’empio può cambiare il dato di fatto del suo allontanamento. Di conseguenza, pecca ed erra continuamente e necessariamente, finché non è ricondotto sulla retta via dallo Spirito di Dio. Ma fino ad allora, Satana regna in pace su tutti costoro e guarda tranquillamente l’ingresso della sua dimora [Lc. 11,21 ss.], sotto l’azione dell’onnipotenza divina” (WA 18, 710).

Quanto letto, pone chiaramente il discorso di Lutero tutto sul versante dell’irreversibilità del peccato originale. Nel piano di Dio, l’uomo era stato creato libero, ma quest’ultimo vi ha rinunciato nella speranza di superare i propri limiti. Dopo questa rinuncia, l’uomo assume, lo ribadiamo, una natura totalmente depravata: il peccato ha corrotto ogni parte della sua natura, rendendolo incapace a compiere qualsiasi bene morale. Egli potrà ancora fare molte cose lodevoli in relazione al mondo, ma anche le opere migliori saranno radicalmente difettose, perché esse non sono sollecitate dall’amore verso Dio né compiute in ubbidienza a Dio. Ed è sempre nel piano di Dio che viene prevista la salvezza, nei tempi e nei modi da Lui stabiliti. Evento che culmina nella figura del Cristo. Questo breve passo dal Grande Catechismo riassume, in maniera elementare, la visione di Lutero: “Infatti, dopo che siamo stati creati e abbiamo ricevuto beni di ogni sorta da Dio Padre, venne il diavolo e ci condusse nella disobbedienza, nel peccato, nella morte e in ogni sventura, così che ci troviamo sotto l’ira e la disgrazia di Dio, condannati all’eterna dannazione, come abbiamo ottenuto e meritato. Non v’era qui alcun consiglio, né aiuto, né consolazione, finché questo unigenito ed eterno Figlio di Dio non ebbe misericordia della nostra disgrazia e della nostra miseria, in forza di una bontà immotivata, e venne da cielo ad aiutarci”(Il Credo, secondo articolo).

Può l’uomo avere o seguire, in questa condizione di depravazione, una morale buona? Leggiamo, ora, questo passo di Lutero: “Tutte le volte che la parola di Dio viene annunciata, essa rende la coscienza allegra, aperta e sicura davanti a Dio; è infatti la parola della grazia, della remissione, una parola buona e benefica. Ma ogni volta che viene annunciata la parola dell’uomo, essa rende la coscienza turbata, angusta e angosciosa in se stessa, perché essa è la parola della legge, dell’ira e della colpa, in quanto ci mostra ciò che non si è fatto e quanto si doveva fare” [WA 2; 453, 2-6 (1519)]..

Che significa ciò? Vediamo. A prima vista, sembra che tutti i comandamenti, le ammonizioni, i consigli morali siano la conferma della possibilità di discernimento tra il bene ed il male da parte dell’uomo. Tutt’altro, dice Lutero. Un argomento tra i più forti, assieme a quello dell’eliminazione della necessità di Cristo, si basa su questo assunto: l’uomo dopo il peccato originale non può fare il bene, ma la sua tracotanza lo acceca e pensa di essere libero dinanzi a Dio. Ecco, allora, che la parola di Dio lo mette alla prova, dandogli dei precetti, che egli non può assolutamente soddisfare. E, come è noto, proprio da questa incapacità è nata l’angoscia di Lutero nei confronti della Giustizia divina. Come è infatti scritto in Romani 9, 20: “perché mediante le opere della legge nessuno sarà giustificato davanti a lui; infatti la legge dà soltanto la conoscenza del peccato”. Ma sentiamo direttamente Lutero su questo punto, che può essere sintetizzato in questa formula: la legge non dimostra la capacità d’osservarla. Con tono polemico il riformatore si appella dapprima all’argomento della necessità di Cristo: “Ora, se Mosè afferma in modo così chiaro [secondo l’interpretazione data da Erasmo] che non solo abbiamo facoltà, ma addirittura facilità di osservare tutti i comandamenti, perché darsi tanta pena in questa discussione? […] Che bisogno c’è di Cristo? […] Che stupido [stultus] è stato Cristo a procacciarci a prezzo del proprio sangue uno Spirito che non era affatto necessario, per facilitarci nell’osservare i comandamenti, cose che siamo già in grado di fare per natura [ex natura]” (WA 18, 687, 17).

Si introduce, quindi, l’argomento dei precetti divini come prova dell’impotenza umana. Senza usare categorie teologiche, bensì partendo dalle armi di Erasmo, ovvero la grammatica, Lutero si chiede: “Per quale deduzione logica, mi domando, tutte le volte che si dice: “se vuoi”, “se uno vuole”, “se tu volessi”, ciò comporta immediatamente la volontà ed il potere del libero arbitrio? Non è forse vero che molto spesso usiamo simili parole per esprimere piuttosto incapacità e impossibilità? Così, per esempio: […] “se vuoi essere paragonato a Davide, devi comporre qualcosa di simile ai suoi Salmi”. Qui, chiaramente, si indicano delle cose impossibili per le nostre sole forze, sebbene possano essere compiute per virtù divina” (WA 18, 691, 5). La conclusione segue immediatamente: “Essi [comandamenti], però, sono dettati non solo per mostrare l’impotenza del libero arbitrio, mediante il quale non si compie nulla di quello che ordinano, ma anche per indicare che tutte queste cose possono sì accadere e realizzarsi, ma per virtù di altri, cioè di Dio. […] Attraverso questo modo di parlare ci sono date ad intendere due cose: ovvero, che noi non possiamo nulla e che qualsiasi cosa facciamo è Dio che opera in noi. […] è sufficiente attribuire la nostra impotenza alle nostre forze e la nostra capacità alla grazia di Dio” (WA 18, 691, 20).

La domanda non può tuttavia essere ulteriormente elusa: i precetti devono pur avere un scopo pratico, altrimenti a che cosa si riduce l’agire dell’uomo? Qui, sembra che l’uomo possa comportarsi, moralmente parlando, in modo giusto, se si segue la classica definizione aristotelica della virtù, non come posseduta per natura, ma costruita attraverso la ripetizione abitudinaria di azioni virtuose, cioè come esercizio, esplicitato dalla metafora degli artefici, i quali “costruendo bene diventeranno buoni costruttori, costruendo male diventeranno cattivi costruttori” (Etica Nicomachea 1103b 10). Entra qui in gioco il fondamento, anzi il fine, del buon agire. Osserva il De Negri: “In sostanza, le conseguenze del peccato originale e il secondo uso della legge [ndr. Uso morale, il primo è l’ uso politico e rientrano nell’mbito della carne, mentre il terzo è quello spirituale] formano un circolo tautologico, sebbene i dolci frutti dell’albero rendano laboriosa la diagnosi delle amare radici. Sotto l’abito delle virtù e del decoro gli uomini perseverano ad amare Dio per i beni di cui egli è munifico; nel prender quindi possesso di quei beni non di altro si preoccupano che di trarne il maggior godimento compatibile con la maggiore tranquillità di sé e degli altri. Così si producono le buone opere” (De Negri Enrico, La teologia di Lutero, La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1967, pg. 42).

L’uomo peccatore è quindi utilitarista, fedele all’amor sui e non all’amor Dei, dimentico quindi del fatto che Dio è da fruirsi propter se ipsum. Evidentemente, siamo di fronte a quel pervertimento mezzo-fine che va sotto il nome di: curvitas, iniquitas e perversitas degli empi che “con occhio tristo e mercenario ricercano il proprio interesse anche in Dio” (WA 18, 691, 20. Cfr. Matteo 6:23, Filippesi 2:21). Nel commento al Magnificat Lutero dice: “Di costoro, il Salmo XLVIII, 19 dice: “Essi ti lodano finché fai loro del bene”, come se volesse dire: Essi considerano se stessi e non te; benché ricevano da te piaceri e beni, non s’interessano di te, come diceva anche Cristo in Giovanni VI, a coloro che lo cercavano: “In verità io vi dico che voi mi cercate non perché avete veduto dei segni, ma perché avete mangiato e siete stati saziati”” (LUTERO M., Commento al Magnificat, Milano, CENS, 1989, pg. 32. Il riferimento biblico usato da Lutero è della Vulgata: “quia animae suae in vita sua benedicet laudabunt inquient te cum benefeceris tibi”. La traduzione varia notevolmente nelle altre edizioni: rif. Salmo 49, 19 (Luzzi, ABU)).

Il risollevarsi da questa curvitas, per Lutero, non è opera umana. Ecco perché “Il Nuovo Testamento è costituito essenzialmente di promesse ed esortazioni, così come l’Antico Testamento è costituito essenzialmente di leggi e minacce. Nel Nuovo Testamento viene predicato infatti l’Evangelo, il quale non è altro che la parola attraverso cui sono offerti lo Spirito e la grazia per la remissione dei nostri peccati, ottenuta per noi da Cristo crocifisso; e questo del tutto gratuitamente e per la sola misericordia di Dio padre, il quale mostra così il suo favore a noi che ne siamo indegni e meritevoli piuttosto di dannazione” (WA 18, 692, 22 sgg).

Attraverso la grazia, l’uomo è capace di risollevarsi e compiere opere buone, in quanto ora le radici dell’albero, per riprendere la metafora del De Negri, non sono più amare. L’uomo vecchio era alla mercé di Satana, ma l’uomo nuovo è figlio di Dio. Quindi il solo scopo della legge antecedente la grazia è quello che Paolo mostra in Romani 3, 20: condurre alla conoscenza del peccato e dell’impotenza dell’uomo di riscattarsi da questo giogo con le sue proprie forze. L’unica via, nel pensiero del riformatore, è quella cristocentrica, il resto è solo un’illusione umana, nella migliore delle ipotesi. In altre parole, dice Lutero: “Io sono un peccatore in me stesso, lontano da Cristo. Lontano da me stesso, e in Cristo, io non sono un peccatore” (WA 38, 205).

A conclusione , diciamo che Lutero con questa concezione della legge può rispondere alla questione posta dalla lettera di Giacomo: “Dunque vedete che l’uomo è giustificato per opere, e non per fede soltanto. […] Infatti, come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta” (Giacomo 2, 24 e 26). La distinzione tra legge e fede, ovvero tra lettera e grazia, permette di stabilire il piano di valore di un opera. Compiere buone opere sotto la legge è illusorio, in quanto si agisce o per costrizione o per allettamento, quindi, principalmente, per fini egoistici. In tal caso, abbiamo, per così dire, un’imitazione del bene. Curioso il paragone utilizzato da Lutero in W.A. 56, 249: “Una scimmia può imitare bene le azioni degli uomini, ma non per questo è un uomo. Se diventasse uomo, senza dubbio non diverrebbe tale in virtù degli atti con cui ha imitato l’uomo, ma in forza d’altro, cioè per l’azione potente di Dio”.

Sotto la grazia, invece, si agisce soltanto per amore di Dio, in modo disinteressato. Le opere che “giustificano” pertanto sono quelle dell’uomo già giustificato, che sotto la legge si è umiliato conscio della propria impotenza. Lutero esprime bene concetti in questo passo del suo commento ai Romani: “Dunque, quando il beato Giacomo e l’Apostolo dicono che l’uomo è giustificato dalle opere, intendono opporsi alla falsa opinione di quelli che ritenevano bastasse la fede senza le opere della fede. L’Apostolo, però, non dice che la fede giustifica senza le sue opere proprie (perché allora non ci sarebbe più neanche la fede, dal momento che “è l’azione a render manifesta la presenza d’una forma, come dicono i filosofi), ma dice che la fede giustifica senza le opere della legge. Dunque la giustificazione non richiede le opere della legge, ma una fede viva, cioè una fede che compia le sue opere” (W.A. 56, 249).

Appunto, “è l’azione a render manifesta la presenza d’una forma”. Principio comunemente ammesso dalla filosofia scolastica, Lutero probabilmente cita un suo contemporaneo: Trutvetter, Summa in totam physicen (Erphord. 1514), I, c. 1: “Hinc in proverbio dicitur: operatio arguit formarn sicut transmutatio materiam”.

Nel nostro caso l’opera buona che rende manifesta l’agire della grazia divina, attraverso la fede. Per riprendere la figura sopracitata, il frutto sarà conseguente alla bontà dell’albero. E per proseguire con la terminologia aristotelica, si può dire che la volontà è materia che attende di essere informata, e non può non esserlo, come ci ricorda la figura della cavalcatura (WA 18, 635, 24), altrimenti resterebbe un che d’indeterminato o d’astratto. Ma, seguendo Lutero, la forma o atto, può essere data da Dio o da Satana, il quale è entrato nel mondo attraverso il problematico movimento del peccato. Diciamo problematico, in quanto la volontà del primo Adamo non sembrava già informata, poiché non aveva ancora coscienza della trasgressione, come testimonia il passo scritturale: “No, non morirete affatto; ma Dio sa che nel giorno che ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male” (Genesi 3, 5-6). Adamo fallì, dunque inconsciamente, sotto l’influsso malvagio non avendo ancora esperimentato il male? Ma questo è un problema che esula dalla nostra trattazione, per cui ci fermiamo qui.


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-, Sezioni:

Werke, finora 63 voll. In più tomi [WA]

Briefwechsel, finora 18 voll. [WA Br]

Deutsche Bibel, 12 voll. in più tomi [WA DB]

Tischreden, 6 voll [WA Tr]

Luthers Werke in Auswahl, unter Mitwirkung von Albert Leißmann, herausgegeben von Otto Clemen, Berlin, Walter de Gruyter & Co., 1931 sgg.

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