Dieter Kampen: Kenosis

Il testo qui di seguito riprodotto è un estratto, leggermente adattato, del nuovo libro “Introduzione all’etica luterana”, uscito recentemente di cui troverete gli estremi bibliografici alla fine.

Nel suo “Sermone della duplice giustizia” del 1519 Lutero descrive due tipi di giustizia. La prima giustizia è quella aliena che si trova in Cristo e alla quale partecipiamo per fede. La seconda è quella che noi realizziamo nella nostra vita, diventando sempre più simili a Gesù Cristo.

Lutero sviluppa questo pensiero della seconda giustizia soprattutto a partire da Filippesi 2,5: “Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù”

Qui dovremmo prevenire possibili fraintendimenti. Seguire Cristo come esempio non significa necessariamente agire in tutto come Gesù: Ad es. non è necessario portare sandali o essere poveri perché queste sono cose contingenti e non si adattano quindi a tutte le situazioni.

È poi possibile fonte di fraintendimento esaltare le qualità superiori di Gesù. Ci sono p.es. chiese che predicano Cristo come esempio per quanto riguarda la sua predicazione efficace o la sua capacità di operare guarigioni. I seguaci vengono quindi esortati ad essere forti e superiori agli altri.

Se invece guardiamo il testo biblico vediamo che prosegue : Cristo Gesù, 6 il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, 7 ma spogliò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; 8 trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. (Traduzione TILK)

Secondo una parola greca usato nel testo si può qualificare l’atteggiamento di Cristo come Kenosis. Kenosis indica l’auto-abbassamento, lo spogliarsi di tutti i propri poteri. Questo è lo spirito che Lutero intende quando parla di Cristo come exemplum. Lutero intende la stessa cosa, quando nel suo scritto “La libertà del cristiano” afferma come una delle due tesi principali che “Il cristiano è un servo zelante in ogni cosa, e sottoposto ad ognuno.”

Il cristiano raggiunge questo spirito di servizio, quando muore insieme a Cristo, quando muore a se stesso, cioè quando può dire con l’Apostolo Paolo: “Adesso non vivo più io, ma Cristo in me.”

Cristo è morto, affinché noi potessimo vivere. Cristo si è reso debole, affinché noi potessimo diventare forti. In questo senso anche noi dovremmo essere dei “Cristi” per il nostro prossimo: non nel senso che lo dovremmo salvare, perché ciò può soltanto Gesù Cristo, ma nel senso che noi dobbiamo servirlo e renderci deboli, affinché il nostro prossimo possa diventare forte.

Lo spirito di Cristo è radicalmente opposto a tutti quei cristiani che ritengono di essere superiori ai non cristiani – e questo vale anche per la morale. Non siamo forti per metterci al di sopra degli altri e neanche al di sopra dei peccatori, ma per servire loro e per renderli forti, così come Dio dimostra la sua giustizia non giudicandoci, ma rendendoci giusti, la sua potenza non distruggendoci, ma rendendoci forti ecc.
Non è da sottovalutare questo concetto nel pensiero di Lutero. Infatti quando da vecchio (1545) descrive la sua scoperta riformatoria che, come dice, gli aprì le porte al paradiso, la descrive come la scoperta che la giustizia di Dio si manifesta non nel giudizio, ma rendendoci giusti.

Mentre meditavo giorno e notte ed esaminavo il concatenamento delle parole seguenti: La giustizia di Dio è rivelata in esso (cioè nell’evangelo) da fede a fede come è scritto: il giusto vivrà per fede, cominciai a capire che la giustizia di Dio è quella per la quale il giusto vive per il dono di Dio, cioè per la fede, e che la giustizia di Dio significa qui la giustizia che Dio dona, per mezzo della quale il giusto “vive”, se ha fede. Il senso della frase è dunque questo: l’evangelo ci rivela sì la giustizia di Dio, ma la giustizia passiva, per mezzo della quale Dio, nella sua misericordia, ci giustifica mediante la fede, come è scritto: il giusto vivrà per fede.

A questo punto mi sentii rinascere, e mi parve che si spalancassero per me molte porte del paradiso. Cominciai a percorrere le Scritture, e notai altri termini che si dovevano spiegare in modo analogo: l’opera di Dio, cioè l’opera che egli compie in noi; la potenza di Dio, mediante la quale egli ci dà forza; la salvezza, la gloria di Dio. (Traduzione: Anna Belli)

Qui ci troviamo quindi al nucleo del pensiero teologico e morale di Lutero. Se Dio mostra le sue qualità mediante ciò che opera in noi, anche il cristiano mostra le sue qualità mediante ciò che opera negli altri. Non è buono quel cristiano che è moralmente superiore agli altri, ma colui che ispira gli altri a una vita morale. Non è forte chi riesce a dominare gli altri, ma colui che riesce a rendere forti i deboli. Non è ricco chi si può comprare un’automobile grossa e lussuosa, ma colui che riesce a sfamare gli affamati.

Fonte: Dieter Kampen, Introduzione all’etica luterana, Editrice Claudiana, Torino 2012, www.claudiana.it, pp. 92, Piccola collana moderna 141, f.to cm 12 x 20, codice isbn 978-88-7016-889-1