Fede, laicità nelle «unioni di vita»

«Nihil sub sole novi», dodici anni fa scrissi un articolo sul rapporto «Fede Omosessualità», dove, pur criticando certi aspetti della cosa, davo anche una porta aperta alle infinite possibilità di redenzione che Dio dona agli uomini. In effetti è un problema spinoso, nel quale si possono inserire i più svariati interessi di parte, spesso lontani dal Vangelo, che piuttosto che chiarire creano sempre più confusione. Come ho già scritto altrove, il buonismo laico rischia di fare del male allo stesso cristianesimo appiattendolo in una notte schellinghiana. Il fine, mai nascosto, è anche quello di sradicare le radici cristiane dell’Europa. Che facciano, ma non sarà facile per loro: “Verbum Dei Manet In Aeternum”. Qui non sono in gioco le differenze dottrinali tra Cattolici e Protestanti, ma le nostre basi culturali e spirituali… pensateci.

Partiamo da questo articolo pubblicato su NEV. Roma (NEV), 9 giugno 2010 – Dopo la benedizione di una coppia omosessuale avvenuta nella chiesa valdese di Trapani, è riesploso il dibattito pubblico su temi delicati e sensibili come quello del riconoscimento delle unioni civili dello stesso sesso o del matrimonio omosessuale.

«In questo quadro – ha affermato oggi il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), il pastore Massimo Aquilante – ribadiamo il nostro convincimento che le leggi sulla materia debbano rispettare il principio costituzionale di uguaglianza e pari dignità di ogni cittadino e cittadina. Al tempo stesso su questa materia ci richiamiamo anche al principio di laicità che impone una distinzione tra le norme dello Stato, che devono essere adottate nell’interesse generale e nel rispetto delle identità e dei diritti di ciascuno, e le scelte etiche e morali che si affidano alle singole coscienze o all’azione delle varie comunità di fede.

E’ sulla base di questi principi di uguaglianza e di laicità che in passato abbiamo aderito ad appelli e iniziative per il diritto al riconoscimento civile delle unioni dello stesso sesso. Diritto che riaffermiamo anche oggi da credenti evangelici, convinti che la grazia in Cristo liberamente ricevuta per mezzo della fede, non detti un codice di comportamento civile, bensì indichi a ognuno di noi una strada da percorrere con discernimento e senso di responsabilità».

Fonte: NEV – Notizie evangeliche


Eccoci di nuovo allo stesso problema sollevato dal caso «Crocifisso», Il rapporto tra laicità e fede. Per cominciare, vediamo che cosa pensa la Chiesa Cattolica di tutto questo.

  1. Essa si oppone non solo al matrimonio omosessuale, ma a qualsiasi tipo di riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali. Il rifiuto è motivato affermando che l’antropologia cristiana, che la Chiesa afferma essere basata sull’insegnamento di Cristo e, più in generale, della Bibbia, nonché sulla propria tradizione [tolta questa sarebbero protestanti], considera conforme alla volontà di Dio solo la tendenza sessuale eterosessuale, e giudica non conforme al piano di Dio la tendenza omosessuale, e quindi “contro natura”, e per questo peccaminosi, gli atti omosessuali.
  2. Secondo la C.C. il riconoscimento civile del matrimonio eterosessuale è giustificato dal fatto che esso dà un apporto significativo alla società, la qual cosa, sempre secondo la Chiesa, giustifica il riconoscimento da parte del legislatore di speciali privilegi alla famiglia eterosessuale. Al contrario, non vede ragioni che giustifichino il riconoscimento da parte della società di diritti alle coppie omosessuali.

Trasalisco, in quanto, per quanto riguarda il primo punto, togliendo la parola «tradizione» e «primato», mi trovo ad essere completamente d’accordo. L’omosessualità è condannata aspramente da Paolo in Romani 1:26-27: «Perciò Dio li ha abbandonati a passioni infami: infatti le loro donne hanno cambiato l’uso naturale in quello che è contro natura; similmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono infiammati nella loro libidine gli uni per gli altri commettendo uomini con uomini atti infami, ricevendo in loro stessi la meritata ricompensa del proprio traviamento». Ripeto, non nascondiamolo, le Scritture condannano chiaramente e duramente la «sodomia» e tutti i comportamenti che hanno come solo fine il piacere in se stesso. Come commentare le altrettanto dure parole dell’apostolo Paolo: «Non sapete che gl’ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non v’illudete; né fornicatori, né idolatri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriachi, né oltraggiatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e mediante lo Spirito del nostro Dio» (1Corinzi 6:9-11, Cfr. Ef 5:3-8; Col 3:5-10; Tit 3:3-7). In effetti, dall’uomo viene solo la morte, da Cristo la Vita. Premesso questo, da qui non c’è via d’uscita: tutti gli atti contro natura sono frutto del peccato. La corrotta natura umana ha dato sfogo alle abberrazioni più terribili. Ma il peccatore possiede una via d’uscita: la grazia divina. Inoltre visto che tutto ciò che Dio permette ha, finalisticamente, una ragione buona anche chi soffre per questo motivo va compreso e non demonizzato.

Nell’economia divina anche il male è giustificato. La prima strada è affidarsi, come tutti i peccatori, a Cristo e confidare nella sua grazia. Noi uomini siamo tutti maledetti dinanzi ai suoi occhi, solo per il suo amore può esserci salvezza. Ricordatevi la Maddalena, il Fariseo etc…

Il secondo punto, invece, mi trova aperto ad un’altra conclusione, ossia che la chiesa non deve intromettersi nella sfera privata. La sfera della sessualità è, forse, la più privata in assoluto… e, allora, che ognuno faccia le sue scelte, prendendosene tutte le responsabilità, ma, e c’è un grande «ma», non scimmiottiamo le istituzioni eterosessuali. Volere benedire un matrimonio omosessuale è chiaramente contro le Scritture, a meno di non volerci inventare «fantaesegesi». Comprensione e aiuto vanno dati in questi casi, ma non si può pretendere di distruggere un piano antropologico, sociale e religioso scambiando i valori in gioco, magari coinvolgendo innocenti come i bambini attraverso adozioni al di fuori di ogni logica. La laicità, forse, vuol dire questo? No, spero solo che voglia offrire dei diritti civili, sottolineo civili, a tutti nell’ambito dell’uguaglianza. Di fronte alla scelta religiosa però essa deve tacere. Se una persona non sente coerente il proprio pensiero con una religione perché volere parteciparvi? E perché questa religione vuole intromettersi in questo aspetto? Evangelizzazione? Benissimo, nulla vieta di ascoltare la «Parola», ma allo stesso tempo un «matrimonio omosessuale» non può vantare di essere coerente ad essa. Ripeto, nulla di male, il mondo si esprime sotto vari aspetti, ma non mescoliamo le carte in tavola. In altre parole, bisogna eliminare, in questo ambito laico, l’uso del termine «matrimonio», che crea un’inutile provocazione, a favore dei termini più adeguati di «convivenza stabile» o di «unione civile».

E le chiese protestanti come si sono poste di fronte a questo problema? Nel mondo evangelico, il tema dell’omosessualità è stato al centro di recenti prese di posizione da parte di organismi rappresentativi. Sia l’Alleanza Evangelica britannica che quella francese hanno contribuito alla riflessione con documenti significativi. Il protestantesimo storico, invece, sembra allineato a tesi possibiliste e permissive, anche se in alcune chiese (la Comunione anglicana, ad esempio) il tema suscita vivaci polemiche.

L’Alleanza Evangelica italiana si è interrogata sulla questione nel documento Omosessualità: un approccio evangelico, ha affermato ufficialmente quanto segue a riguardo del rapporto (e/o matrimonio) omosessuale (si cita letteralmente perché il testo potrebbe suscitare in chi legge forti polemiche):
  1. l’omosessualità rappresenta una negazione delle potenzialità dell’essere umano ed un ripiegamento verso una visione autoreferenziale della relazione con gli altri. Fare i conti con chi è altro da sé, accettandone la diversità e impostando un rapporto fecondo, è indice di maturità umana. Un’autentica maturità non si accontenta di stare con persone uguali a sé, ma coglie la sfida della diversità per imbastire con una persona diversa da sé una relazione affettiva e sessuale.
  2. la persona matura ambisce ad entrare in relazione con chi è sessualmente diverso da sé, non ad idolatrare chi gli è sessualmente simile. Circondarsi di omologhi, stabilendo una relazione d’intimità con un omologo dal punto di vista sessuale, è segno di rinuncia ad affrontare la diversità umana che passa anche attraverso la diversità sessuale. L’autorefenzialità sessuale ed affettiva è quindi un depauperamento della vocazione umana e, per questa ragione, non gli si può riconoscere uno statuto di virtù etica. L’omosessualità è una disfunzione relazionale mediante la quale il soggetto omosessuale tende a riduplicare la propria identità sessuale piuttosto che avvicinarsi all’alterità sessuale ed affettiva di un diverso da sé.
In effetti va ridimensionata anche un’altra notizia recente, prima accennata, ampiamente ripresa sulla stampa, riferita alla benedizione di una coppia lesbica avvenuta due mesi fa da parte del pastore valdese di Trapani, Alessandro Esposito. Essa è stata erroneamente spacciata per «matrimonio gay». La pastora Maria Bonafede, moderatore della Tavola valdese (organo esecutivo dell’Unione delle chiese metodiste e valdesi) ha precisato quanto segue: «Nella chiesa valdese di Trapani è stata invocata la benedizione su due donne evangeliche tedesche, anche se non appartenenti alla chiesa valdese, il cui legame affettivo era stato già validato in Germania con la stipula di una unione civile. Pertanto non si è celebrato alcun matrimonio ma si è pregato con convinzione e affetto per due persone che si impegnavano a vivere insieme la loro vita». «L’ordinamento della Chiesa valdese non contempla», sempre nelle parole della pastora, «la celebrazione di matrimoni di persone dello stesso sesso, né la chiesa ha mai assunto una posizione sul tema del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Nelle nostre chiese però si è cominciato a dibattere della possibilità di testimoniare anche a livello liturgico dell’accoglienza e del riconoscimento di unioni di vita di persone dello stesso sesso».
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A proposito della succitata “benedizione” sempre l’Alleanza Evangelica Italiana, in una nota del 9 giugno 2010,
  • ricorda come, biblicamente parlando, la chiesa non può benedire ciò che Dio non ha benedetto. Sino a prova biblica contraria, le unioni sessuali al di fuori del matrimonio non sono benedette da Dio e la chiesa ne deve prendere serenamente atto. Se non lo fa, non è più serva della Parola, ma signora sulla Parola.
  • ricorda altresì che questo atto è frutto di una più che decennale e crescente tendenza all’interno dell’evangelismo che si riconosce nella Federazione delle Chiese Evangeliche Italiane, culminato con l’adesione della FCEI all’appello “Sì lo voglio” favorevole non solo alle unioni di fatto, ma anche al matrimonio civile per tutti e tutte (NEV 24/3/2010).
  • ribadendo la volontà di dialogo col mondo federato, più volte praticato e ricercato anche su questi temi, l’AEI non può che ripetere che la differenza all’interno dell’evangelismo italiano non sta in un particolare etico o in una diversa sensibilità su alcune questioni, ma in un approccio teologico complessivo che ha delle inevitabili ricadute etiche. Essere evangelici significa praticare il sola Scriptura, anche su temi delicati come questo.
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Infine ricordiamo la posizione della Chiesa battista: La Convenzione Battista del Sud, la più importante chiesa protestante americana, considera l’omosessualità un peccato e si propone, attraverso la fede, di convertire all’eterosessualità coloro che hanno tendenze gay. L’Alleanza Battista Mondiale (l’associazione di 211 chiese diverse che rappresentano 46 milioni di battisti) ha invece posizioni più tolleranti.
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Come si vede c’è confusione ed ambiguità… questo, ripeto, poiché si vogliono confondere i piani laici con quelli religiosi. Da questo punto di vista, mi verrebbe da dire, che è più coerente il Buddhismo, che, in merito al matrimonio tra persone dello stesso sesso, considera la sfera matrimoniale come totalmente distinta rispetto alla sfera della ricerca di salvezza, mārga, ponendosi né in opposizione né in accordo.

Torniamo a casa nostra… Approfitto dell’occasione per un brevissima nota autobiografica. Come dice l’intestazione del mio sito io, di fatto, mi considero una voce indipendente ed assolutamente scollegata dalla ELKI-CELI (Chiesa Evangelica Luterana in Italia), infatti ne sono solo simpatizzante, ma non vi appartengo. Sono luterano per cultura, studi e vocazione, ma non mi piacciono le «etichette strette», sento il pensiero cristiano afferente alla mia sensibilità e ne ho abbracciato l’interpretazione luterana, ma senza dimenticare che l’autorità prima è sempre rappresentata dalle Scritture e dal Cristo. Cosa, peraltro, insegnata anche da Lutero: «Come potrei io, miserabile e puzzolente sacco di vermi, arrivare al punto che i seguaci di Cristo si debbano denominare con il mio sciagurato nome?» (WA 8,685).

Detto questo, con profonda preoccupazione, vengo a conoscenza che la Chiesa Evangelica Luterana in Italia si prepara a benedire le coppie omosessuali. Andiamoci piano ed approfondiamo. Purtroppo si sono inventati un ulteriore eufemisno «unioni di vita», ma questo possiamo anche comprenderlo. La CELI si affretta ad affermare che «per quanto riguarda la benedizione delle unioni di vita – che non possono e non devono essere confuse con una celebrazione nuziale – la CELI intende iniziare un processo di riflessione sulla realtà delle unioni di vita differenti da quelle della famiglia classica». Leggo in un comunicato: «L’esperienza pastorale porta quotidianamente a contatto con queste diverse e nuove forme di convivenza, determinando la necessità di accompagnare persone che cercano supporto nel vivere la loro particolare situazione in Italia e sollecitando una comprensione più ampia e profonda da parte della CELI di questo fenomeno». Dal 30 aprile al 3 maggio si è svolto, presso il centro Carraro di Verona, l’assemblea del Sinodo dei luterani italiani, guidato dal 2008 da due donne, la presidente Christiane Groeben e la vicepresidente Caroline von Hohenbuehel. Al centro dei lavori di quest’anno, ci sono stati in particolare l’elezione del Decano e del Vicedecano nonché il dibattito sulla benedizione delle unioni di vita e la presentazione del nuovo innario della Celi.
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E’ un fatto che al Sinodo è stata approvata una mozione sulle «unioni di vita» in cui si afferma che tutte le persone, senza discriminazione alcuna, hanno il diritto di essere accompagnate nella fede. In particolare la mozione afferma che per le coppie dello stesso sesso, che vivono in un legame vincolante di convivenza, può esservi un culto di benedizione»… essere accompagnate nella fede??? Ma cosa sta succedendo alla teologia luterana? Beh, sulla «fede» ne parlerò fra poco.
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Passiamo, per un momento, la parola al pastore Holger Milkau, che ho conosciuto e stimo, il quale afferma: «mi è dispiaciuto che si sia parlato di “nozze gay”, è una formulazione che provoca una resistenza già dal punto di vista emotivo, perché il matrimonio è inteso come l’unione di vita di una coppia (uomo-donna) con il fine di generare dei figli. Il matrimonio è il nucleo in cui avviene la generazione umana, che ha un certo valore di per sé. Se si utilizzano termini impropri (es. nozze), si determina una provocazione inutile. Occorre invece fare attenzione all’uso dei temini da utilizzare in modo che essi siano rispettosi delle differenze. Questo è un primo passo che va rispettato anche in una formula liturgica che si applica alla benedizione. Inoltre la testimonianza biblica che sta dietro alla liturgia del matrimonio è ovviamente indirizzata ad una coppia uomo-donna. Il matrimonio, con il suo valore peculiare nella tradizione cristiana, non è equiparabile ad altre forme di convivenza, ma la chiesa luterana ritiene legittimo che persone che vivono un sentimento d’amore desiderino valorizzarlo con la benedizione di Dio. […] L’omosessualità è una questione che ogni società deve affrontare prima o poi. Anche la chiesa non può restare con le mani in mano e pensare che non la riguardi, perché la vita vissuta ci sollecita e ci obbliga a renderci conto che non discriminare le persone per il loro orientamento sessuale è un diritto profondo e umano. In questo, forse, – non lo dico con fierezza – la chiesa luterana ha sentito di dover fare un primo passo coraggioso. Sono contento che, con il dibattito plurale che si avvia all’interno delle nostre chiese, possiamo tentare di coinvolgere la società in un processo utile e doveroso, adempiendo al mandato cristiano di accogliere e accompagnare l’uomo per amore di Dio».
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Il pastore afferma, tra l’altro, di non aver ricevuto reazioni esplicite nell’ambito del protestantesimo, ma solo dalla comunità cattolica veronese, dove si è svolto il Sinodo, che ha preso le distanze da qualsiasi tipo di chiesa che dimostri una così grande apertura verso gli omosessuali.
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Mi dispiace per Milkau, anche lui in bilico tra fede e laicità, ma pure io mi dissocio, in parte, dalle sue affermazioni. Laicamente posso accettare qualunque tipo di unione, in quanto, come detto, appartenenti alla sfera squisitamente privata della persona, senza però trascendere in una immagine blasfema di “famiglia” pseudo-tradizionale, le «unioni di vita», come le chiamano, sono tutt’altra cosa.
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Quando ci si sposta nell’ambito della «fede», le cose si fanno più complesse, e lo sa benissimo anche il pastore. A questo punto, una necessaria parentesi per ribadire questo concetto. Nelle sue lezioni sull’epistola ai Romani del 1515-16, Lutero sviluppò la concezione della «giustizia aliena di Cristo», imputata – non impartita – a noi per fede, come fondamento della giustificazione. Il suo ampio commento a Romani 4,7 è di particolare importanza. Leggiamo, ad esempio, questo passo: «Dato che i santi hanno sempre davanti agli occhi il loro peccato e implorano la giustizia da Dio, secondo la sua misericordia, proprio per questo sono anche sempre considerati giusti da Dio. Dunque ai loro propri occhi ed in verità essi sono ingiusti, ma davanti a Dio sono giusti, perché tali egli li considera a motivo di questa loro confessione di peccato. Sono peccatori in realtà, ma giusti a causa della considerazione di Dio che ha misericordia di loro: sono inconsapevolmente giusti e consapevolmente ingiusti; peccatori in realtà, ma giusti nella speranza».
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Detto questo, sottolineo una distinzione che ha creato parecchi equivoci ed effettive divisioni anche in campo protestante. Spesso si semplifica questa dottrina di Lutero definendola giustificazione per fede, mentre, correttamente, si deve parlare di giustificazione per grazia attraverso la fede. Nel primo caso, infatti, rischieremmo di leggere Lutero come un semipelagiano, in quanto la fede verrebbe a coincidere con un’opera umana. Come nota James Atkinson: «Molti hanno fatto della dottrina della giustificazione per sola fede una dottrina peggiore di quella della giustificazione per opere. Essi hanno avuto la tendenza a interpretare la fede come uno stato mentale che permette loro di appropriarsi della salvezza: cercano la fede e tentano di produrla. Questo, naturalmente, fa della fede un’opera molto insidiosa. Una forza propulsiva non è ancora la fede, ma è Cristo che fa nascere la fede e che ristabilisce la fede dell’uomo peccatore in un Dio buono e misericordioso» (Atkinson J., Lutero: la parola scatenata, Claudiana, p. 128).
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E’ Dio solo, quindi, che provvede a fornire gli strumenti necessari, fede compresa, alla nostra giustificazione. Egli attua così la Sua giustizia, la quale non è data dal giudicare se noi abbiamo assolto le condizioni per la giustificazione, ma è il dono che ci imputa giusti in modo da poter assolvere a quelle condizioni. Questo concetto è ribadito anche dal IV articolo della confessione d’Augusta, che al primo comma recita: «Item docent, quod homines non possint iustificari coram Deo propriis viribus, meritis aut operibus, sed gratis iustificenter propter Christum per fidem» [«Allo stesso modo insegnano che gli uomini non possono essere giustificati al cospetto di Dio in virtù delle proprie forze, dei propri meriti, delle proprie opere, ma sono giustificati gratuitamente, per opera di Cristo mediante la fede»].
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Devo, ora, compiere  un’ultima importante precisazione: definire il concetto di fede. Per Lutero, e per la riforma in generale, la fede non è una generica credenza od opinione, neppure un’adesione dell’intelletto ad oggetti che non si possono dimostrare razionalmente (definizione tomistica, ma che richiama pure Ebr. 11:1), né, tantomeno, un sentimento, né emozione religiosa, né una pratica di pietà o, addirittura, una raccolta di dogmi.
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Queste definizioni possono essere considerate, al massimo, conseguenze della fede. Nel pensiero protestante, la fede consiste nell’azione e nella presenza di Dio nell’uomo. Ed il movimento è sempre verticale, da Dio, mediante Cristo, verso l’uomo; concetto riassunto, peraltro, dal celebre versetto di Efesini 2:8: «Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio».
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L’uomo, in questo stato, al tempo stesso giusto e peccatore, ha solo una certezza, che Dio gli tende una mano (cfr. Atti 4, 27-30). Il XVIII punto della Confessione di Augusta dice che «la volontà umana ha una certa quale libertà nell’attuare la giustizia civile e nello scegliere le cose che dipendono dalla ragione. Ma non ha il potere, senza lo Spirito Santo, di attuare la giustizia di Dio o giustizia spirituale, poiché l’uomo naturale non può percepire le realtà proprie dello Spirito di Dio». L’uomo si trova quindi tra terra, peccato, volontà imperfetta e cielo, salvezza e volontà perfetta (nell’attuare la volontà di Dio). Tutte le decisioni che si prendono al di fuori della fede sono imperfetta, come è imperfetta la cosiddetta laicità che non è altro che l’oggettivazione dell’ambito terreno. Ed è qui il campo nel quale possiamo accettare simili contraddizioni. La speranza è che prima o poi questa contraddizione venga sciolta.

Riprendiamo, per chiudere, le parole del pastore Aquilante, citate all’inizio: «è sulla base di questi principi di uguaglianza e di laicità che in passato abbiamo aderito ad appelli e iniziative per il diritto al riconoscimento civile delle unioni dello stesso sesso. Diritto che riaffermiamo anche oggi da credenti evangelici, convinti che la grazia in Cristo liberamente ricevuta per mezzo della fede, non detti un codice di comportamento civile, bensì indichi a ognuno di noi una strada da percorrere con discernimento e senso di responsabilità».

Bene, belle parole, anche se ambigue di fronte alle Scritture, ma non si possono servire due padroni, «nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona» (Lc 16:13).
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Se la fede illuminerà queste “unioni”, allora esse dovranno servire il Vangelo, ma come? Ma poi, possiamo veramente giudicare, visto che anche nelle coppie «normali» gli errori, intesi dal punto di vista del concetto di famiglia, di libertà sessuale ecc., sembrano essere, ormai, nella norma? Qui il monito di Matteo 7:1 e Luca 6,37 è pur sempre attuale.
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Che vinca l’amore, ma quello vero: «Dio è amore; e chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1 Gv 4, 16)

 

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