CUI PRODEST?

di Giorgio Ruffa


En voyant l’aveuglement et la misère de l’homme, en regardant tout l’univers muet et l’homme sans lumière abandonné à lui‑même, et comme égaré dans ce recoin de l’univers sans savoir qui l’y a mis, ce qu’il y est venu faire, ce qu’il deviendra en mourant, incapable de toute connaissance, j’entre en effroi comme un homme qu’on aurait porté endormi dans une île déserte et effroyable, et qui s’éveillerait sans connaître et sans moyen d’en sortir. (Blaise Pascal, Pensées, 393)


Lorenzo Lotto, Natività, 1523.
Lorenzo Lotto, Natività, 1523.

A chi giova? In questi giorni, al solito, si sentono le consuete notizie su scuole ed istituzioni che “vieterebbero” rappresentazioni a carattere religioso, legate alle correnti festività, per “amore” di laicità o per “presunto” rispetto verso chi la pensa diversamente.

Si vorrebbe, in questo modo, proteggere (perché poi, non si sa… si reputa forse che la gente non sia in grado di pensare con la propria testa?) il credo, o il non credo, diverso di altre persone. Per quanto riguarda alcuni non credenti non ne comprendiamo il livore, visto che questi simboli non comunicano nulla a loro (sembra, a pensar male, che dia molto fastidio che altri ci credano). Per quanto riguarda la seconda religione, l’Islam, con cui, nei fatti, dobbiamo confrontarci non ne vedo le cesure insormontabili. Chiaramente fini e strutture dogmatico-teologiche sono lontane, ma piene di punti in comune. Sicuramente l’Islam (quello vero, non le estremizzazioni) vive in modo molto più serio e profondo la propria fede rispetto al mondo cristiano occidentale e, forse, scandalizza la nostra mancanza di fede, piuttosto che la nostra la testimonianza di fede. La divinità dell’Occidente, purtroppo, è Mammona, inutile negarlo… chi vive oggi il Natale meditando sui valori cristiani più intimi e spirituali? E chi lo fa, spesso rischia persino di essere minimizzato o considerato un “bigotto”… o per lo meno un “anticonformista”.

Tornando all’Islam, dal punto di vista culturale per i musulmani la Natività non è certo una immagine estranea. Leggiamo un passo dal Corano: «45. Quando gli angeli dissero: “O Maria, Allah ti annuncia la lieta novella di una Parola da Lui proveniente: il suo nome è il Messia, Gesù figlio di Maria, eminente in questo mondo e nell’Altro, uno dei più vicini. 46. Dalla culla parlerà alle genti e nella sua età adulta sarà tra gli uomini devoti”. 47. Ella disse: “Come potrei avere un bambino se mai un uomo mi ha toccata?”. Disse: “È così che Allah crea ciò che vuole: “quando decide una cosa dice solo Sii”, ed essa è. 48. E Allah gli insegnerà il Libro e la saggezza, la Torâh e il Vangelo. 49. E [ne farà un] messaggero per i figli di Israele [che dirà loro]: In verità, vi reco un segno da parte del vostro Signore. Plasmo per voi un simulacro di uccello nella creta e poi vi soffio sopra e, con il permesso di Allah, diventa un uccello. E per volontà di Allah, guarisco il cieco nato e il lebbroso, e resuscito il morto. E vi informo di quel che mangiate e di quel che accumulate nelle vostre case. Certamente in ciò vi è un segno se siete credenti!» (Sura III, Âl ‘Imrân – La Famiglia di Imran).

In poche righe, con parole quasi simili a quelle dei Vangeli, viene riassunta la figura di Gesù come profeta: chiaramente è omessa la funzione messianica e la sua divinità (qualcosa del genere si verificò anche nel cristianesimo delle origini con l’interpretazione data dal Nestorianesimo) in quanto non contemplata nella teologia islamica. Lo “scandalo” potrebbe essere dato dalla rappresentazione “sacra”, che, come sappiamo, è proibita per i musulmani? Ne abbiamo mai parlato chiaramente con dei musulmani devoti? Sono davvero così sensibili? Insomma, siamo sicuri che il problema, alla fin fine, sia proprio di carattere teologico?

Una delle obiezioni dei sostenitori della laicità è che una società laica non dovrebbe dare occasione di contrasto tra le diverse visioni del mondo, ma così si rischia di soffocarle: la “laicità”, secondo il cardinale Ravasi, risponde al «rendete a Cesare ciò che è di Cesare», mentre il “laicismo” vorrebbe elidere o reprimere il «rendete a Dio ciò che è di Dio». Sulla laicità ne ha parlato anche Claudio Magris su Il Corriere della Sera, sottolineando che alcuni «continuano a usare scorrettamente questo termine come se significasse l’opposto di fede e come sinonimo di ateismo o di agnosticismo» e aggiungendo che i laicisti usano «una supponenza che mette all’indice di una pretesa arretratezza ogni voce dissenziente». Ma fermiamoci qui su questo argomento, che sicuramente è trattato più analiticamente da altri.

Riprendiamo il nostro discorso. Appurato che per i musulmani il Natale non è una festa e che le rappresentazioni “potrebbero” non essere gradite, dobbiamo chiederci: ma che cosa è per gli occidentali, non dico cristiani per non restringere la questione, il Natale?

Un noto comico italiano nei giorni scorsi ha espresso un suo pensiero in forma ironica: cosa festeggiamo, un panciuto signore finlandese, che guida una slitta trainata da renne e vestito dalla Coca-Cola©? E Gesù, dove è? Chi non vogliamo invitare alla festa? Il festeggiato? Del resto anche la dicitura americana Xmas più che una abbreviazione con un chi (χ) greco (i cristiani ellenisti abbreviavano il nome Cristo -Χριστός- nel monogramma ΧΡ, chi-ro ☧), sembra una esclusione. A questo punto c’è da chiedersi se dietro alla declamata laicità non ci sia il tentativo atavico del “laicismo” di estromettere Gesù dalla storia. Non mi riferisco alla storia dei credenti, ma a quella di tutta la civiltà occidentale, che, nel bene o nel male, ha costruito tutto ciò che che ci circonda e siamo. Un noto critico d’arte, nel contesto dell’influenza culturale, ha affermato che il bello che ci circonda lo dobbiamo al cristianesimo nel suo tentativo di comunicare una luce di speranza, di uscita, da un mondo di tenebre (ex tenebris lux). Qui mi ricollego alla citazione di Pascal che ho anteposto all’articolo che, tradotta, dice questo: «Nel vedere l’accecamento e la miseria dell’uomo, nel considerare tutto l’universo muto, e l’uomo senza luce, abbandonato a se stesso, e come smarrito in quest’angolo dell’universo, senza sapere chi ve lo abbia messo, cioè che vi è venuto a fare, cosa diventerà morendo, incapace di ogni conoscenza, comincio a provare una grande paura, come un uomo che sia stato portato addormentato in un’isola deserta e spaventosa e che si svegliasse senza sapere dove si trova e senza mezzi per uscirne».

L’uomo abbandonato nel non senso, nella non conoscenza è un essere miserevole in balia degli istinti e votato alla morte, anch’essa vissuta come un tragico enigma. Ma non è, come in Heidegger, una morte che da senso alla vita, ma un che di insensato. Le tanto bistrattate religioni, hanno cercato di dare un perché ed un senso alle cose. Lo stesso vale, se vogliamo, per tutte le scienze umane, che via via si son venute caratterizzando a partire dalla primordiale domanda sull’origine (ἀρχή) delle cose.

La religione cristiana irrompe nella gnoseologia greca con un versetto pesante come un macigno, vista la sua pregnanza teoretica: «Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος» (in Principio era il Verbo ). Possiamo pure essere non credenti, ma il peso del cristianesimo nella crescita intellettuale dell’Occidente è innegabile e preponderante. Del resto, persino il pensiero ateo come sarebbe potuto nascere senza la negazione di Dio? Ma il buon Spinoza ci insegna pure che «omnis determinatio est negatio» (nel senso che ogni cosa in quanto esiste è negazione di qualcos’altro).

La religione nella sua forma più astratta è scienza, ossia teologia, e rappresenta un fondamentale momento di indagine sull’uomo e sul suo mondo, senza nulla togliere alle altre scienze. Tutti i cammini di conoscenza sono leciti e non debbono necessariamente essere in competizione o addirittura in conflitto. La teologia, poi, si è espressa nell’arte figurativa, nella musica e persino nella matematica, come non pensare, ad esempio, al culmine teologico-musicale-matematico rappresentato da Johann Sebastian Bach (1685-1750). Ma di questi collegamenti ne potremmo fare a migliaia. Oltre alle immagini, per concludere con gli esempi, non sarebbe neppure pensabile la nostra letteratura, innegabilmente influenzata dal testo biblico e dai classici greco-latini. Rapporto magari non sempre idilliaco, ma assolutamente indissolubile. Voler, insomma, comprendere la produzione artistica dell’Occidente al di fuori del testo biblico e della religione è sciocco oltre che intellettualmente errato.

La più antica raffigurazione della Natività, catacombe di Priscilla (Roma II-IV sec.).
La più antica raffigurazione della Natività, catacombe di Priscilla (Roma II-IV sec.).

Abbiamo parlato di “Occidente”, ma è chiaro, anzi lapalissiano, che tale discorso vale le “religioni del libro” (Cristianesimo, Ebraismo, Islam), come per tutte le altre religioni che hanno costruito una civiltà. Il problema che si pone, pertanto, è di confronto tra le civiltà. Partendo dal semplce schema dialettico il tutto si fonda nel classico movimento tesi, antitesi e sintesi. E’ chiaro che le due tesi in rapporto debbano essere conosciute, chiare ed evidenti… altrimenti il processo si blocca sul nascere, in quanto manca l’identità netta e distinta da porre in relazione. Il tutto si riassume in una parola più volte evocata: conoscenza. Dante disse bene: «fatti non foste a viver come bruti,/ma per seguir virtute e canoscenza» (Inferno XXVI,119.120). Senza conoscenza viviamo la situazione pascaliana, sovracitata, dell’uomo senza luce, abbandonato a sé stesso.

Vi pare che le polemiche di questi giorni siano state basate sulla conoscenza? No, purtroppo, a trionfare è una crassa ignoranza, che risulta ancora più insopportabile se alimentata ad arte da convenienze politiche o pseudoculturali. Pertanto alla domanda iniziale, se la problematica fosse di carattere teologico, che cosa possiamo rispondere se non che non si conosce neppure la teologia più elementare? Elementare nel senso di una rappresentazione immediata, come può essere un’immagine.

Molti si sono elevati a paladini delle tradizioni, ma queste hanno un senso se sono vive. Chi sta uccidendo le nostre tradizioni? L’Islam? Non credo, penso si tratti piuttosto di un suicidio epocale che l’Occidente sta perpetrando nei suoi confronti da decenni.

Il confronto, questo è il nocciolo del problema, sarà possibile solo se la nostra identità verrà salvaguardata e vissuta. Non è negando noi stessi che possiamo entrare in relazione con l’altro, senza dimenticare che la relazione è reciproca e quindi anche gli altri devono essere disposti al confronto senza rinunciare alla propria identità. Ripeto, d’altra parte, non si tratta di essere credenti, anzi, questo paradossalmente potrebbe essere un aspetto secondario, ma di essere coscienti della propria cultura e di come siamo arrivati fino a qua.

Al filosofo francese Bernardo di Chartres (XII sec.) viene attribuito il celebre motto «nos esse quasi nanos gigantium humeris insidentes» (siamo come nani sulle spalle di giganti), a dimostrare che senza rispettare il lavoro di chi ci ha preceduto siamo destinati, intellettualmente, ad avere una vista ridotta, come l’immagine di Bernardo sottolinea: «ut possimus plura eis et remotiora videre, non utique proprii visus acumine, aut eminentia corporis, sed quia in altum subvehimur et extollimur magnitudine gigantea» (così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’acume della vista o l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti). Questo lavoro, lo possiamo chiamare tradizione o come volete, ma il concetto si reitera, l’ignoranza risulta foriera di tristi coseguenze.

L’unica arma invincibile è la cultura, la conoscenza e lo spirito critico. Una cultura, però, non tesa a discriminare, ma a riunire in una comprensione reciproca, quasi mistica se pensiamo al termine latino comprehensio… un abbraccio della totalità, sicuramente utopico, ma che dovrebbe essere il limite, quasi in senso matematico, a cui l’uomo tende nel suo cammino.

La vera libertà, quindi, sarebbe quella di poter esprimere il proprio credo liberamente (diritto costituzionale, ricordiamolo, nel nostro paese) senza barriere costruite per malcelati fini ben lontani dalla libertà civile dell’uomo. Un presepe esposto con spirito cristiano può essere offensivo? Se la risposta fosse affermativa allora significa non conoscere i valori cristiani, quindi rimandiamo al tema della conoscenza. Al massimo potrebbe essere non compreso (bisogna conoscere), ma in questo caso perché dovrebbe scandalizzare?

Chiudo, augurando a tutti un meditato e sereno periodo natalizio, con un altro pensiero di Pascal «377. L’uomo è solo una canna, la piú fragile della natura; ma una canna che pensa. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo; un vapore, una goccia d’acqua bastano a ucciderlo. Ma, quand’anche l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe pur sempre piú nobile di quel che lo uccide, perché sa di morire, e la superiorità che l’universo ha su di lui; mentre l’universo non ne sa nulla. Tutta la nostra dignità sta, dunque, nel pensiero. In esso dobbiam cercare la ragione di elevarci, e non nello spazio e nella durata, che non potremmo riempire. Lavoriamo, quindi, a ben pensare: ecco il principio della morale».


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