Visto il recente uso ed abuso di questo termine in Italia, rimetto in evidenza questo post.
E’ con piacere che pubblico questo articolo di Paolo Castellina. La questione è la seguente: i Puritani erano sessuofobi? Su questo argomento vi sono visioni stereotipate o basate su luoghi letterari mal recepiti. Leggiamo la tesi proposta, che, ovviamente, condivido.
Di solito, quando si definisce una persona come “puritana” si intende qualcuno che sia molto rigoroso soprattutto al riguardo della sessualità, al limite del sessuofobo. Il vocabolario della lingua italiana, dà, infatti, come uno dei significati di “puritano” la seguente definizione: “improntato a un moralismo intransigente: rigidezza, mentalità puritana, chi è moralista in modo rigoroso e intransigente”. I Puritani, però, storicamente, erano ben lungi dall’avere una concezione negativa della sessualità.
In realtà, è il Cattolicesimo, non il Puritanesimo, ad avere sviluppato una tale concezione negativa della sessualità, dichiarando la verginità come superiore al matrimonio. A questo i Puritani rispondono indicando come il matrimonio “è una condizione … molto più eccellente della condizione della vita singola”. Sono stati molti commentatori cattolici-romani ad affermare come i rapporti sessuali siano stati il risultato della Caduta e che non esistessero in Paradiso. I Puritani lo negano decisamente: il matrimonio è stato ordinato da Dio, “e questo non in questo mondo decaduto, ma in paradiso, quel sommamente gioioso giardino di piaceri”.
Predicando e scrivendo in un contesto dominato dal Cattolicesimo, la lode che i Puritani fanno del matrimonio è nel contempo l’affermazione della bontà e bellezza dei rapporti sessuali. Per i Puritani non c’è nulla di “sporco” nei rapporti sessuali, anzi, nessuno di loro parla di essi come di solito se ne scrive in certa letteratura nei termini di “doveri coniugali”, “coabitazione” o “atto del matrimonio” o persino “benevolenza dovuta”. Gli scritti dei Puritani, senza eccezioni dichiarano la sessualità come buona. William Gouge considera l’unione fisica come “uno degli atti più appropriati ed essenziali del matrimonio”. E’ opinione di Milton che il testo: “saranno una stessa carne” (Genesi 2:24). era incluso nella Bibbia “per giustificare e rendere legittimi i riti del letto coniugale. Non è vero che non siano necessari o qualcosa di contaminante come affermano alcune sétte filosofiche e religiose antiche, e, più tardi, il Papismo”.
William Ames elenca come uno dei doveri del matrimonio: “la comunicazione reciproca dei corpi”.
Tanto strettamente è associata l’idea del matrimonio con il sesso che i Puritani definivano di solito il matrimonio in parte nei termini di unione sessuale. William Perkin definisce il matrimonio come “la legittima congiunzione delle due persone sposate, cioè di un uomo e di una donna in una stessa carne”. Un’altra ben nota definizione del matrimonio è: “accoppiare due persone in una stessa carne secondo l’ordinanza di Dio… Aggiogare, unire, accoppiare è inteso non solo la convivenza di due persone sposate … ma anche un uniforme accordo di mente ed una comune condivisione del corpo e dei beni”.
Il sesso nell’ambito del matrimonio, non solo era legittimo, secondo le concezioni puritane, ma doveva pure essere esuberante. Gouge dice che le coppie sposate dovrebbero praticare il sesso “con buona volontà e delizia, volentieri, prontamente e con gioia”. Un Puritano anonimo afferma che quando i due sono fatti uno attraverso il matrimonio essi “possono gioiosamente dare debita benevolenza l’uno all’altra, come due strumenti musicali reciprocamente accordati che producono una dolce e piacevole armonia”. Alexander Niccholes teorizza come nel matrimonio “non solo si forma un’amicizia speciale per il conforto della società, ma i due diventano anche compagni nel piacere”.
In quest’accettazione del sesso fisico, i Puritani respingono l’ascetismo ed il dualismo fra sacro e profano che aveva governato il pensiero cristiano per troppo tempo. Secondo la concezione puritana, come i Riformatori prima di loro, Dio ha donato il mondo fisico, inclusa la sessualità, per l’umano benessere.
In che modo, però, nella storia del cristianesimo, si è giunti ad avere un’immagine negativa della sessualità?
Al tempo di Agostino (IV-V secolo) i credenti venivano battezzati nelle chiese nudi di fronte all’intera comunità. Gli antichi romani dormivano nudi e così i monaci nei monasteri. E’ solo nel quinto secolo che Benedetto da Norcia, canonizzato santo, scrive nella sua regola che i monaci dovessero a letto indossare qualcosa.
E’ nella chiesa medioevale che la chiesa distrugge, in nome del pudore, le antiche opere d’arte greche e romane. Si dice che la chiesa avesse distrutto più opere d’arte dei barbari. Al tempo della Controriforma, il papa Pio IV incarica un artista ad aggiungere delle braghe ai personaggi del Giudizio Universale di Michelangelo. D’altro canto, il Rinascimento (e la Riforma) apre un periodo di rinnovato apprezzamento per i classici in tutte le sue forme.
Nel XVI secolo, Olimpia Morata, ampiamente lodata dai Riformatori suoi contemporanei per la sua conoscenza e pietà, traduce due novelle da uno dei libri più scandalosi ed irriverenti del XIII secolo (il Decamerone di Boccaccio) e cita liberamente dai “poeti dell’amore” Catullo ed Ovidio nelle sue corrispondenze con altri cristiani. In una preghiera che compone in occasione del suo matrimonio, ringrazia Dio per il dono della sessualità come strumento d’armonia fra marito e moglie. Cita il letto coniugale in termini che nessuno oserebbe pronunciare nemmeno oggi in una preghiera pubblica.
a cura del pastore Paolo Castellina
Ndr. Olimpia Morata, rappresentante femminile delle corti padane del Cinquecento, nasce nel 1526, figlia del noto umanista Fulvio Pellegrino Morato. Olimpia ricevette una compiuta e raffinatissima formazione classica che la fece accogliere, su raccomandazione di Celio Calcagnini, dalla duchessa Renata di Francia come compagna di studi della figlia Anna. Alla corte di Ferrara Olimpia entrò in contatto con un ambiente percorso da forti tensioni e inquietudini religiose e frequentato da personaggi di primo piano della Riforma protestante, come Giovanni Calvino e Clément Marot. Quando, sul finire degli anni ’40, si addensarono i sospetti dell’Inquisizione intorno alle tendenze eretiche di Renata e i “familiari” della duchessa cominciarono ad allontanarsi da Ferrara, Olimpia, ormai passata alla Riforma e coinvolta in oscure accuse, sposò all’inizio del 1550 il medico tedesco Andrea Grundler, conosciuto a corte, e abbandonò l’Italia. La sua vita di esule in Germania durò poco: scossa dalle drammatiche esperienze belliche di cui fu testimone e spossata dalla malattia, morì nel 1555 a Heidelberg. Lasciava, però, una serie di opere in latino e soprattutto un corpus di lettere, di cui Celio Secondo Curione curerà la stampa presso Pietro Perna a Basilea, che testimoniano non soltanto la fitta rete di amicizie e solidarietà che si era intrecciata durante l’esilio tra intellettuali italiani ed europei della comunità umanistica, ma anche la coerenza e la forza con la quale la giovane ferrarese, pur attraverso le durissime prove dell’esilio, si mantenne salda nella sua nuova fede.
«Non lasciamoci affliggere dagli uomini,
perché che cos’è l’uomo se non un’ombra fuggevole,
una foglia trasportata dal vento, un fiore che avvizzisce, un fumo che si dissolve?»
(Olimpia Morata a Lavinia della Rovere, Heidelberg, agosto 1554)
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