Croci e crocifissi, mio commento

Lucas Cranach, Crocifissione, nella Chiesa dei SS.Pietro e Paolo a Weimar. Il sangue che sgorga dal costato di Cristo zampilla direttamente sul capo del pittore.Premetto che questa nota è assolutamente personale, indipendente da qualunque denominazione luterana.

La (prima) sentenza della Corte europea dei diritti umani sulla presenza del crocifisso in classe ha, come prevedibile, scatenato una lunga serie di polemiche e di prese di posizione. Sono protestante, e mi sento luterano teologicamente parlando, ma questa storia del crocifisso non mi va molto giù. In effetti, Dio è in noi e con noi, da evangelico questa questione non dovrebbe scaldarmi più di tanto, anche se preferirei vedere una croce vuota, il Cristo è Risorto, ma mi rendo conto che in gioco c’è qualcosa di più grande.

So benissimo che molti di coloro che usano la croce oggi stesso rinnegheranno il nome di Dio “tre volte”, ma il peccato è la cifra dell’umanità, non a caso alcuni credono nella redenzione. Il discorso purtroppo non è soteriologico, ma politico. Una corrente atea, che si maschera dietro il parolone del “laicismo” si bea in un processo nichilista, e contraddittorio oserei dire… Quale vitello d’oro ci sarà dato?

Effettivamente, questo buonismo laico rischia di fare del male allo stesso cristianesimo appiattendolo in una notte schellinghiana. Vedere magari una croce semplice, ossia solo il simbolo per dare un valore ecumenico nell’ambito delle varie confessioni cristiane, non è diseducativo… Vogliono sradicare le radici cristiane dell’Europa? Che facciano, ma non sarà facile per loro: “Verbum Dei Manet In Aeternum”. Qui non sono in gioco le differenze dottrinali tra Cattolici e Protestanti, ma le nostre basi culturali e spirituali… pensateci.

Spesso si usa la parola “stato laico”… in effetti qualcuno ci legge volentieri “stato ateo”. Per capire gli effetti di questa politica basta citare un articolo del DIE WELT sul numero del 31 ottobre 2009. Wittenberg la città simbolo della riforma oggi è quasi completamente atea… ecc. ecc. In Italia c’è l’enorme peso del Concordato, lo ammettiamo. Ma lo stato deve anche educare o no? Io ad esempio sono contrario all’ora di religione cattolica, ma finché non verrà sostituita con un insegnamento parallello, come storia delle religioni, filosofia della religione o quant’altro… preferisco rimanga una minima testimonianza di RELIGIOSITA’.

Leggendo in giro credo che chi mette in discussione “i simboli” mostra che non ha capito nulla della teologia e delle Scritture. Inoltre, mi terrorizza l’idea che un manipolo di magistrati possa sindacare sulla presenza o meno di simboli religiosi nella scuola, come a dire: “ve lo ordiniamo noi a che cosa credere”. La religione e la fede si è sempre imbevuta di simboli, fin dai tempi più remoti. In sintesi: credo che bisogna rispettare il sentimento del popolo, qui abbiamo a che fare con gli strati profondi della coscienza popolare che non vuole fare a meno di aggrapparsi a quei pochi simboli che gli sono rimasti, la globalizzazione, a suo modo, ha già creato troppi falsi miti.

L’ultima questione riguarda il rispetto multiculturale e multireligioso: molti bambini islmaici non vogliono che si tolga il crocifisso dalle scuole, per loro è un segno importante di religiosità, perché la loro vita è impregnata di religiosità, a differenza di una parte dell’Occidente, per loro vedere la croce a scuola, anche se non credono nel Messia, rimane un modo di sentirsi circondati da un aura di religiosità per loro positiva.

Non mi stupisce quindi, che ad essere più felici di questa sentenza siano tutti coloro che non desiderano altro che la scomparsa del cristianesimo, ma mi stupisce che lo siano anche alcune chiese cristiane che prendono a pretesto una fallimentare visione di laicità che francamente nessuno vuole.

Aggiornamento:  Nell’editoriale della F.C.E.I. Paolo Naso scrive: «Gli evangelici si sono così ritrovati pressoché soli ad apprezzare la sentenza, non di rado accomunati e intenzionalmente confusi con gli atei, i razionalisti, i relativisti, insomma con quanti attenterebbero all’identità cristiana dell’Italia e dell’Europa».

FALSO! Probabilmente si riferisce gli evangelici che egli conosce e/o rappresenta. E non si chiede come mai, a torto o a ragione, ci sia stata confusione con atei, razionalisti e relativisti… solo questo dovrebbe far pensare… ma tant’è…

AGGIORNAMENTO MARZO 2011

A marzo di quest’anno il buon senso ha prevalso. La Corte Europea di Strasburgo, con sentenza definitiva, dà ragione al ricorso presentato dal Governo italiano e stabilisce che l’esposizione del crocifisso non viola i diritti umani di chi non vi si riconosce da un punto di vista religioso. Alcuni “evangelici” parlano persino di amarezza, contraddicendosi pure quando dicono di non provare avversione «nei confronti dei simboli religiosi visibili che sono invece fondamentali per la civiltà umana». Bene e se sono fondamentali, l’Europa non è cristiana? Certo, posso anche io essere d’accordo sulla differenza “croce” e “crocifisso”, anzi lo sono teologicamente parlando. Preferirei appendere una semplice croce, infatti nel mio ufficio è tale. Ma prima di spiegarlo a milioni di cattolici che cosa si fa? Si butta il “bambino” con l’acqua calda per fare un piacere agli atei razionalisti che si mascherano dietro la parola laicismo? Meditiamo in questo periodo di difficoltà e non pensiamo che la parola “libertà” possa essere vessillo di ogni assurdità. Certo, nella fede siamo “liberi”, liberi di decidere come leggere un simbolo piuttosto che un altro… forse qualche evangelico si chiude gli occhi quando vede un crocifisso, tutto scandalizzato perché lede la sua libertà. No, chi ragiona così non è libero, ma schiavo di passioni terrene, se un pezzo di legno può incutergli tanto timore. Non vorrei che dietro a tutto questo ci fossero motivazioni di carattere politico, allora si che la cosa sarebbe veramente triste e amara.

Tanto per parlare di stato laico ringraziamo la nostra costituzione, invece… Art. 19, Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume. Art. 20, Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.

Forse croci e cocifissi sono «contrari al buon costume»? Se la croce dovesse dare fastidio in un caso specifico nulla vieta di usare una soluzione mediatrice, cosa ben diversa da una imposizione per legge.

Concludo citando il commento, pieno di buonsenso, del pastore Ulrich Eckert, vice decano della Chiesa evangelica luterana in Italia (CELI): «Per i luterani, il crocifisso o la croce è il simbolo più alto che riassume il dono che Dio fa di sé all’umanità. Non esigiamo che il crocifisso venga esposto in luoghi pubblici in quanto simbolo di fede, ma non siamo contrari alla sua esposizione come simbolo di un richiamo alla tradizione viva della fede cristiana. E’ però fondamentale rispettare la richiesta di toglierlo ove qualcuno se ne veda disturbato, proprio per evitare l’uso di questo simbolo di amore e di solidarietà come simbolo di dominio. Siamo contrari all’uso del crocifisso come segno di affermazione di una presunta supremazia della fede cristiana nella società pluralistica, democratica e quindi ispirata a criteri di giustizia, uguaglianza e laicità. Guai a chi spera di concentrare il difficile e importante compito di un’autentica testimonianza delle fede nel Signore Gesù Cristo sull’affissione di simboli» (21.03.2011).


Ah, visto che ci siamo, lasciatemi sdrammatizzare con una battuta, perché non togliamo la croce da tutte le bandiere europee, visto che ci siamo… ^_^ il grande Totò diceva: «Ogni limite ha una pazienza! Ma mi faccia il piacere, mi faccia! […] Perciò, stamme a ssenti… nun fa”o restivo, suppuorteme vicino-che te ‘mporta? Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive: nuje simmo serie… appartenimmo à morte!»

Nell’editoriale della F.C.E.I. Paolo Naso scrive: «Gli evangelici si sono così ritrovati pressoché soli ad apprezzare la sentenza, non di rado accomunati e intenzionalmente confusi con gli atei, i razionalisti, i relativisti, insomma con quanti attenterebbero all’identità cristiana dell’Italia e dell’Europa».
http://www.fedevangelica.it/articolo-2.php?id=463

Riporto il testo del comunicato stampa (18 marzo 2011)

(ANSA) STRASBURGO – Il crocefisso puo’ restare appeso nelle aule delle scuole pubbliche italiane. Questo e’ quanto ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo, che con una sentenza definitiva della Grande Camera, votata da 15 giudici su 17, ha dichiarato che la presenza in classe di questo simbolo non lede ne’ il diritto dei genitori a educare i figli secondo le proprie convinzioni, ne’ il diritto degli alunni alla liberta’ di pensiero, di coscienza o di religione. Per il governo italiano e il fronte pro-crocefisso e’ una vittoria a tutto campo. Nel motivare la sua decisione la Corte afferma come il margine di manovra dello Stato in questioni che attengono alla religione e al mantenimento delle tradizioni sia molto ampio. Ma i quindici giudici che hanno votato a favore della piena assoluzione delle autorita’ italiane sono andati oltre. Nella sentenza si legge infatti come la Corte non abbia trovato prove che la presenza di un simbolo religioso in una classe scolastica possa influenzare gli alunni. E come nonostante la presenza del crocefisso (definito simbolo passivo) conferisca alla religione maggioritaria una visibilita’ preponderante nell’ambiente scolastico, questo non sia sufficiente a indicare che sia in atto un processo di indottrinamento. Si sottolinea infatti che nel giudicare gli effetti della maggiore visibilita’ data al cristianesimo nelle scuole si deve tener conto che nel curriculum didattico non esiste un corso obbligatorio di religione cristiana e che l’ambiente scolastico italiano e’ aperto ad altre religioni. Nessun commento dall’avvocato Nicolo’ Paoletti, difensore di Soile Lautsi, la cittadina italiana di origini finlandesi che aveva presentato ricorso alla Corte. Dichiarazioni euforiche, invece, di coloro che hanno strenuamente difeso l’importanza della presenza del crocifisso nelle scuole italiane. ”E’ una pagina di speranza per tutta l’Europa”, ha commentato monsignor Aldo Giordano appena il presidente della Corte di Strasburgo, Jean Paul Costa, e’ uscito dall’aula dopo la lettura della sentenza. Il rappresentante della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa ha quindi sottolineato come la Corte abbia preso una posizione coraggiosa e abbia tenuto conto delle preoccupazioni che in questo momento gli europei esprimono nei riguardi delle loro tradizioni, dei loro valori e della loro identita’. Gli ha fatto eco il vice ministro della giustizia russo, Georgy Matyushkin, che e’ intervenuto davanti alla Grande Camera in favore dell’Italia ed e’ volato appositamente da Mosca per assistere alla lettura della sentenza. Il minisro russo si e’ detto ”molto soddisfatto per l’approccio della Corte”. Ma anche il direttore dello European Centre for Law and Justice, Gregor Puppinck, ha definito la sentenza ”un colpo che mette un freno alle tendenze laiciste della Corte di Strasburgo e che costituisce un cambiamento di paradigma”. Lo European Centre for Law and Justice era una delle organizzazioni no profit che si erano costituite parte terza a favore dell’Italia nel procedimento. Alla lettura della sentenza, che e’ avvenuta in un’aula piena di studenti e funzionari del Consiglio d’Europa, erano presenti anche l’ambasciatore italiano Sergio Busetto, oltre agli ambasciatori cipriota e greco e ai rappresentanti della diplomazia armena, lituana, e di San Marino. Tutti Paesi che assieme a Bulgaria, Romania, Malta e Principato di Monaco erano intervenuti a favore dell’Italia. La sentenza emessa oggi mette la parola fine al ricorso ”Lautsi contro Italia”. Un fascicolo che fu aperto dalla Corte nel 2006 e che nel 2009, con una sentenza in primo grado a favore delle tesi della ricorrente, suscito’ una vera alzata di scudi contro la Corte. L’indignazione fu tale che il governo italiano ricorse immediatamente, chiedendo e ottenendo la revisione del caso da parte della Grande Camera. In questo suo appello, andato a buon fine, l’Italia ha potuto contare non solo sui dieci Paesi che ”ufficialmente” si sono presentati come parti terze davanti alla Corte, ma anche sul contributo di diverse ong, di parlamentari italiani ed europei e del lavoro diplomatico condotto dal rappresentante della Santa Sede.


Riporto la traduzione delle parti interessanti del testo della prima sentenza che aveva proposto l’abolizione:

COUR EUROPÉENNE DES DROITS DE L’HOMME DEUXIÈME SECTION – AFFAIRE LAUTSI c. ITALIE (Requête no 30814/06) ARRÊT STRASBOURG 3 novembre 2009

Traduzione del passo essenziale

(…)

3. Giudizio della Corte

d) Principi generali

47. Per quanto riguarda l’interpretazione dell’articolo 2 del Protocollo n.1, nell’esercizio delle funzioni che lo Stato assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, la Corte ha raggiunto nella sua giurisprudenza i principi enunciati qui di seguito che sono rilevanti nel caso di specie […]

(a) è necessario leggere due frasi dell’articolo 2 del Protocollo n.1 alla luce non solo gli uni degli altri, ma anche, in particolare, degli articoli 8, 9 e 10 della Convenzione.

(b) è sul diritto fondamentale all’istruzione, che si innesta il diritto dei genitori di rispettare le loro credenze religiose e filosofiche e la prima frase non distingue più della seconda, tra l’istruzione pubblica e istruzione privata. La seconda frase dell’articolo 2 del Protocollo n.1 mira a salvaguardare la possibilità di pluralismo in materia di istruzione, essenziale per la conservazione della “società democratica”, com’è intesa dalla Convenzione. A causa del potere dello Stato moderno, è soprattutto l’educazione pubblica che ha bisogno di raggiungere questo obiettivo.

(c) Il rispetto per le convinzioni dei genitori deve essere possibile attraverso una formazione in grado di fornire un ambiente di scuola aperta e inclusiva, piuttosto che di esclusione, a prescindere dal background degli studenti, dalle convinzioni religiose o dall’etnia. La scuola non dovrebbe essere la scena di proselitismo o di predicazione, dovrebbe essere un luogo di incontro di diverse religioni e convinzioni filosofiche, dove gli studenti possono acquisire conoscenze sui loro pensieri e sulle loro tradizioni.

(d) La seconda frase dell’articolo 2 del Protocollo n. 1 implica che lo Stato, nello svolgere le funzioni da essa assunte in materia di istruzione e formazione, controlla che le informazioni o le conoscenze incluse nei programmi vengano trasmesse in modo obiettivo, critico e pluralistico. Gli è precluso di perseguire un obiettivo di indottrinamento che possa essere considerato non conforme alle convinzioni religiose e filosofiche dei genitori. Qui è il limite da non superare.

(e) Il rispetto per le convinzioni religiose dei genitori e le credenze dei bambini comporta il diritto di credere in una religione o di non credere in nessuna religione. La libertà di credere e la libertà di non credere (libertà negativa) sono entrambi tutelati dall’articolo 9 della Convenzione […].

Il dovere di neutralità e imparzialità dello Stato è incompatibile con qualsiasi potere discrezionale da parte sua quanto alla legittimità delle credenze religiose o dei loro modi di esprimersi. Nel contesto dell’educazione, la neutralità dovrebbe garantire il pluralismo […].

b) applicazione di questi principi

48. Per la Corte, queste considerazioni comportano l’obbligo dello Stato di astenersi da imporre anche indirettamente, credenze, nei luoghi in cui le persone sono a suo carico o nei luoghi in cui queste persone sono particolarmente vulnerabili. La scolarizzazione dei bambini è particolarmente delicata perché in questo caso, il potere vincolante dello Stato è imposto a sensibilità che sono ancora mancanti (a seconda del livello di maturità del bambino), della capacità di assumere una distanza critica in relazione al messaggio di una scelta preferenziale espressa da parte dello Stato in materia religiosa.

49. In applicazione dei principi di cui sopra al caso di specie, la Corte deve esaminare la questione se lo Stato convenuto, esigendo l’esposizione dei crocifissi nelle aule scolastiche, ha garantito nell’esercizio delle sue funzioni l’istruzione e l’insegnamento che la conoscenza sia diffusa in modo obiettivo, critico e pluralistico e il rispetto delle convinzioni religiose e filosofiche dei genitori, a norma dell’articolo 2 del Protocollo n. 1.

50. Nel valutare tale questione, la Corte tiene conto della particolare natura del simbolo religioso e il suo impatto sugli studenti sin dalla giovane età, soprattutto sui bambini del richiedente. Infatti, nei paesi in cui la stragrande maggioranza della popolazione appartiene a una religione particolare, la manifestazione dei riti e dei simboli di questa religione, senza restrizione di luogo e modalità, può costituire una pressione sugli studenti che non praticano tale religione o di coloro che aderiscono a un’altra religione (Karaduman V. Turchia, Decisione della Commissione del maggio 3, 1993).

51. Il governo [italiano] (paragrafi 34-44 supra), giustifica l’obbligo (o il fatto) di esporre il crocifisso al positivo messaggio morale della fede cristiana, che trascende i valori laici costituzionali, il ruolo della religione nella storia italiana e le radici di questa tradizione nel paese. Egli attribuisce al crocifisso un significato neutrale e laico in riferimento alla storia e alla tradizione dell’Italia, strettamente legata al cristianesimo. Il governo ha sostenuto che il crocifisso è un simbolo religioso, ma può rappresentare anche gli altri valori (cfr. Tribunale amministrativo del Veneto, nO 1110 Marzo 17, 2005, § 16, punto 13).

Nel parere della Corte, il simbolo del crocifisso ha una pluralità di significati tra cui il senso religioso è predominante.

52. La Corte ritiene che la presenza dei crocifissi nelle aule va oltre l’uso di simboli in specifici contesti storici. Ha anche ritenuto che il carattere tradizionale del significato sociale e storico di un testo usato dai parlamentari a prestare giuramento non priva il giuramento della sua natura religiosa (Buscarini e altri contro San Marino [GC], n.O24645/94, CEDU 1999-I).

53. Il denunciante sostiene che il simbolo è un affronto alle sue convinzioni e viola il diritto dei suoi figli che non professano la religione cattolica. Le convinzioni di questi ragazzi hanno raggiunto un livello di serietà e di coerenza sufficientemente coerente tanto che la presenza obbligatoria del crocifisso potrebbe essere ragionevolmente intesa come un conflitto con loro. L’interessato vede nell’esibizione del crocifisso il segno che lo Stato è dalla parte della religione cattolica. Questo significato è ufficialmente accettato nella Chiesa cattolica, che attribuisce al crocifisso un messaggio fondamentale. Pertanto, la preoccupazione del richiedente non è arbitraria.

54. Le convinzioni della signora riguardano anche l’impatto dell’esposizione del crocifisso ai suoi figli (supra, punto 32), all’epoca di undici e tredici anni. La Corte riconosce che, come abbiamo visto, è impossibile non notare il crocifisso nelle aule scolastiche. Nel contesto della pubblica istruzione, è necessariamente percepita come parte integrante della scuola e può quindi essere considerato come un “potente simbolo esterno” (Dahlab V. Svizzera (dicembre), nonO 42393/98, CEDU 2001-V).

55. La presenza del crocifisso può essere facilmente interpretata dagli studenti di tutte le età come un simbolo religioso, e si sentono educati in un ambiente scolastico caratterizzato da una particolare religione. Ciò che può essere incoraggiante per alcuni studenti di una religione può essere emotivamente inquietante per gli studenti di altre religioni o di coloro che non professano alcuna religione. Questo rischio è particolarmente presente tra gli studenti appartenenti a minoranze religiose. La libertà negativa non è limitata alla mancanza di servizi religiosi o di istruzione religiosa. Esso copre le pratiche dei simboli che esprimono, in particolare, o, in generale, una credenza, una religione o ateismo. Questo diritto negativo merita una protezione speciale, se lo Stato esprime una convinzione e, se la persona si trova in una situazione che non può essere superata se non con uno sforzo individuale o un sacrificio sproporzionato.

56. L’esposizione di uno o più simboli religiosi non può essere giustificata né con la richiesta di altri genitori che vogliono l’educazione religiosa coerente con le proprie convinzioni, né, come sostiene il governo, con la necessità di un compromesso necessario con i partiti politici di ispirazione cristiana. Rispetto le convinzioni dei genitori in materia di istruzione deve tener conto del rispetto delle credenze di altri genitori. Lo stato ha l’obbligo di neutralità religiosa nel contesto del l’istruzione pubblica obbligatoria in cui la partecipazione è richiesta a prescindere dalla religione e deve cercare di instillare negli studenti il pensiero critico.

La Corte non vede come l’esposizione nelle aule delle scuole pubbliche, un simbolo che è ragionevole associare con il cattolicesimo (la religione di maggioranza in Italia) potrebbe servire al pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una “società democratica”, come concepito dalla Convenzione, pluralismo è stato riconosciuto dalla Corte costituzionale (cfr. paragrafo 24) nel diritto interno.

57. La Corte ritiene che l’esposizione obbligatoria di un simbolo di una confessione nell’esercizio della funzione pubblica per quanto riguarda situazioni specifiche, sotto il controllo del governo, in particolare nelle aule, limita il diritto dei genitori educare i loro figli secondo le loro convinzioni e il diritto di scolari di credere o di non credere. La Corte ritiene che ciò costituisca una violazione di questi diritti, perché le restrizioni sono incompatibili con il dovere dello Stato di rispettare la neutralità nell’esercizio del servizio pubblico, in particolare nel campo dell’istruzione.

58. Di conseguenza, vi è stata una violazione dell’articolo 2 del Protocollo n. 1 in combinato disposto con l’articolo 9 della Convenzione.

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